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456 | ATTO SECONDO |
Ottavio. Signor Pantalone, ho da parlarvi.
Pantalone. Son qua per ela. Brighella m’ha dito...
Florindo. In altro tempo mi darete soddisfazione. (ad Ottavio)
Ottavio. Son pronto, quando volete.
Pantalone. Coss’è sta cossa? Coss’è sto negozio? Se porlo saver? Se ghe pol remediar? Songio bon mi de giustar sto pettegolezzo?
Ottavio. Sappiate, signor Pantalone...
Pantalone. La metta drento quella cantinella1.
Florindo. Egli mi ha provocato...
Pantalone. Caro sior, la metta via la martina2. (a Florindo)
Ottavio. Io farò giudice voi...
Pantalone. Arme in fodro.
Florindo. Non sarà vero ch’io mi lasci...
Pantalone. A monte le bulae. Mettè via quelle spade.
Florindo. Pretendereste forse...
Pantalone. Pretendo che no se fazza duelli, dove che ghe son mi. Disè le vostre rason. Son capace mi de giustarve; e a chi no sarà contento della mia decision, son qua mi a darghe soddisfazion.
Ottavio. La stima che ho di voi, mi fa sospendere ogni risentimento. (rimette la spada)
Pantalone. Bravo. Pulito. E ela, patron? (a Florindo)
Florindo. Lo farò, perchè son ragionevole. (rimette la spada)
Pantalone. Se pol saver cossa xe sta contesa?
Ottavio. Il signor Florindo ha detto a me temerario.
Florindo. Il signor Ottavio ha detto a me insolente.
Pantalone. Patta e pagai. Se tutte le partie le xe de sto tenor, nissun gh’averà nè da dar, nè d’aver. Perchè mo se xe vegnui a sta sorte de complimenti?
Ottavio. Mi vuol far da pedante.
Florindo. Pretende ch’io sia obbligato a secondare i suoi vizi.
Ottavio. Un amico che mi deve esser cognato, ricusa farmi un imprestito di cento zecchini.