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IL FILOSOFO INGLESE 351
Gioacchino. Ecco il ponce, vel porto, se irato più non siete.

(di lontano)
Panich. Portalo, Gioacchino. Ti voglio ben.
Gioacchino.   Prendete.
(gli dà la tazza del ponce, ed egli beve)
Panich. Questo paio di scarpe portar deggio a colei (bevendo)
Che abita in quella casa. Se ci è, saper vorrei.
Gioacchino. La serva? l’ho veduta.
Panich.   No, la padrona io dico.
Gioacchino. Colei alla padrona?
Panich.   Io non la stimo un fico.
(Stimata non l’ho mai, ma dopo la lezione
Di uno de’ miei compagni, le donne ho in avversione).
Credi che ella sia in casa?
Gioacchino.   Sì, vi sarà, cred’io.
Panich. Prendi dunque la tazza.
Gioacchino.   E chi mi paga?
Panich.   Addio.
Gioacchino. Pagatemi, ch’io deggio render conto al padrone.
Vi prenderò le scarpe. (gli leva le scarpe)
Panich.   Lasciale star, briccone.

SCENA IV.

Jacobbe dalla parte del libraio, Birone dalla bottega; e detti'.

Jacobbe. Birone.

Birone.   Signor mio.
Jacobbe.   Porta questo viglietto
A madama Brindè. Qui la risposta aspetto.
Birone. Vi servirò. (entra dalla Brindè)
Gioacchino.   Signore, fatemi voi giustizia.
Non vuol pagarmi il ponce. (passa nella strada)
Panich.   Nol faccio per malizia.
Ma un poco di acqua calda col valor di un quattrino
Fra zucchero, limone e spirito di vino,