Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
350 | ATTO TERZO |
SCENA II.
Maestro Panich con un altro paio di scarpe, e detti.
Gioacchino. Maestro, vi saluto.
Panich. E tu non mi rispondi?
Birone. Che siate il benvenuto.
Ma vi ho sentito fare di molte querimonie
Contro color che usano di far le cerimonie.
Panich. La cerimonia, è vero, è un vizio ed un difetto;
Ma inchinansi i miei pari per obbligo e rispetto.
Birone. E meglio ch’io men vada, pria che gli ammacchi il muso.
Questo degl’impostori, questo degli empi è l’uso:
Insegnan le virtudi, insegnan la morale,
E credon che a lor soli sia lecito far male.
(entra nella bottega)
SCENA III.
Maestro Panich e Gioacchino.
Non stamperà il mio libro senza scacciar Birone.
(a Gioacchino)
Gioacchino. Signor, questa mi pare che chiamisi vendetta.
Panich. È un atto di giustizia. Cosa sai tu, fraschetta?
Gioacchino. Signor, non strapazzate.
Panich. In faccia mia si tace.
Via, portami del ponce, che poi farem la pace.
Gioacchino. Se ’l porto, il pagherete?
Panich. Portal, son conosciuto.
Gioacchino. Oh, vi conosco anch’io: siete ignorante, e astuto.
(entra in bottega)
Panich. Eh ragazzaccio... no, c’insegna la morale,
Che a chi ci fa del bene, noi non facciam del male.
Se il ponce che dà gusto, senza quattrini io bevo,
Soffrir per umiltade qualche cosuccia io devo.