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334 ATTO SECONDO
Milord.   Scoperto finalmente ho l’arcano.

Jacob, la passion vostra voi nascondete invano.
Strano non è, che il core vi abbian ferito e colto
Gli occhi di bella donna: chi non li teme, è stolto.
Mi maraviglio solo che ardite in faccia mia
Di mascherar l’affetto, di dirmi una bugia;
Che con mentito zelo, fingendo consigliarmi,
Da lei mi allontaniate a costo d’ingiuriarmi;
E col chiamarmi indegno di femmina sapiente,
Tacciate me di stolto, di uom che non sa niente.
Solita frase audace di voi filosofastri,
Che per follia credendo discendere dagli astri,
A chi vi rende onore, a chi vi ammira e crede,
Parlate con disprezzo, tradite sulla fede.
Jacobbe. Milord, molto diceste, voi m’insultaste assai;
Bastami che le ingiurie però non meritai.
Esamino me stesso, ho la coscienza illesa;
Questa è la mia ragione, questa è la mia difesa.
Milord. Bella morale in bocca di chi a ragion s’incolpa:
Affetta la costanza, e reo non si discolpa.
Jacobbe. Di che son reo, signore?
Milord.   D’amor colla Brindè.
Jacobbe. Non l’amo, e s’io l’amassi, colpa l’amar non è.
Milord. Colpa è l’amarla allora che di un amico il foco
Si ascolta, si consiglia, e poi si prende a gioco.
Jacobbe. Di audacia o di menzogna rimorsi al cuor non sento.
Calmi soltanto il vero; lo dissi, e non mi pento.
Milord. Farò ben io pentirvi d’ogni mentita cura,
Se più vedrovvi audace andar fra quelle mura.
Jacobbe. In ciò di soddisfarvi, milord, io non ricuso;
Mi avrò, per compiacervi, da quella casa esluso;
Ma una ragion che salvi l’onor mio, la mia fama,
Si ha da saper dal mondo, l’ha saper madama.
Dicasi che milord comanda che io non vada;
Non passerò, se il vieta, nemmen per questa strada.