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Florindo. La vastità del teatro esige buona voce, non altezza di personaggio. (alza la voce)

Zamaria. Gh’avè una ose da toro, ma sè troppo piccolo.

Florindo. È curioso questo signor Bragolano. (ad Eleonora)

Eleonora. Bisogna lasciarlo dire. Ve ne sono tanti di questi, che quando s’hanno cacciata una cosa in testa, non vi è rimedio che se la levino.

Zamaria. E vu, siora, chi seu, che no ve cognosso? (a Clarice)

Clarice. Certo che non mi conoscerà. Questa è la prima volta che ho l’onore di montare su queste tavole.

Zamaria. Anca sì che sè la seconda donna?

Clarice. Per servirla.

Zamaria. Oh giusto, gh’aveva curiosità de véderve. Lassè che ve veda mo.

Clarice. Che cosa crede d’aver da vedere? Sono anch’io una donna come le altre.

Zamaria. Eh! no ghe xe miracoli; ma no ghe xe gnanca mal. (osservandola bene)

Clarice. Chi è questo signore? (a Lelio)

Lelio. È uno di questi caporioni di piazza; di quelli che tengono cattedra per le botteghe sui difetti dei commedianti.

Clarice. (Sto fresca io). (da sè) Signore, mi raccomando alla sua protezione: sono una povera principiante.

Zamaria. Gnente, fia, lassè far a mi. Vegnirò coi mi Bragolani e colle mie Bragolane, e ve sbatteremo le man.

Clarice. Delle battute di mano mi preme poco. Nelle botteghe, nei caffè, nella Piazza non vorrei che si dicesse male di me.

Lelio. Non dubitate, signora Clarice, il signor Giammaria è un uomo di garbo, vi darà coraggio.

Zamaria. Ah? cossa diseu? Xe un pezzo che se cognossemo. Xe un pezzo che vu spassizè su ste tole. (a Lelio)

Lelio. Sì signore, e me ne glorio, perchè in ogni tempo sono stato dai benignissimi signori Veneziani generosamente sofferto1

  1. Chi sia questo Lelio è difficile poter riconoscere.