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A SUA ECCELLENZA

LA NOBIL DONNA

ELISABETTA MOCENICO

VENIER1.


A

LCUNI vi sono, Eccellentissima Signora, i quali, per poca considerazione di se medesimi, dubitano nel giudicar delle cose, e per formar di esse buono o tristo concetto, ascoltano il detto di quelle persone che stimano, e colla opinione loro s’accordano. Moltissimi di cotal genere trovami fra coloro che parlano francamente delle opere altrui, per averne sentito ragionare da altri, e allor che bene parlar ne intesero, favorevolmente le trattano, ed all’incontro ardiscono maltrattarle, se mal di loro siasi da altri parlato2. Tali sono per lo più i giudici delle Commedie, lasciati da una parte i Dotti e dall’altra gli appassionati. Moltissimi sono quelli che trasportati dal genio, dalla curiosità, dal costume, corrono la prima sera d’una novella recita al Teatro, a costo d’essere affollati dalla calca del popolo nella platea, e soffrono pazientemente tre ore al bujo per occupare un buon sito. Questi, se non vanno prevenuti dallo spirito di partito, dovrebbono giudicare o secondo il modo loro d’intendere, o a misura della noja o del piacere che internamente risentono, ma trovandosi in mezzo di due vicini contrarj, con uno alla dritta che dice bene, con uno alla sinistra che dice male, non ardiscono decidere per se medesimi, dubitano d’ingannarsi, vanno ora da un lato, ora dall’altro piegando, e si determinano finalmente col parere di quelli per i quali hanno maggior concetto. Questo è l’utile grande che si ritrae dalla protezione delle Persone autorevoli e dotte; accreditano esse le opere altrui, e coll’esempio loro si acquistano le approvazioni degli altri.

  1. Questa lettera di dedica uscì la prima volta nel t. IX dell’ed. Paperini di Firenze, l’anno 1755.
  2. Il testo: portato.