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dell’umanità, ma le regge con mano viva e presente, ed è opera sua tutto quello che noi veggiamo accadere. Arcano egli è della Provvidenza, che vi sia il ricco ed il povero. Il povero ha bisogno del ricco per mantenersi; il ricco ha bisogno del povero per l’uso de’ propri beni: l’uno presta all’altro la mano, e questa è del Mondo la più perfetta armonia. Quei Filosofi che hanno desiderata in tutti l’egualità, non hanno saputo sciogliere gli obietti della confusione. Non vi è cosa più utile al Mondo oltre la subordinazione di una all’altra persona. I Re non sono usurpatori tiranni di un arbitrario dominio, ma da Dio stesso voluti, per frenare i popoli e rappresentare un immagine della Maestà Sua. E così i ricchi non sono eglino che amministratori della Provvidenza Divina, la quale non lascia in balia de’ poveri le ricchezze, perchè non ne facciano abuso. Dio volesse però che tutti corrispondessero ai suoi disegni, come esattamente dall’E. V. vien fatto. Veggiamo pur troppo di quelli che cadono negli estremi della prodigalità o dell’avarizia, ma sono eglino tostamente puniti: gli uni colla miseria, gli altri con il martirio di se medesimi. Felice quello che sa tenere la via di mezzo. Felicissima l’E. V., che più d’ogni altro sa conoscere i doveri dell’uomo ed il carattere del Cavaliere. Queste belle virtù non solo le ha Ella ereditate da’ suoi maggiori, che furono della Repubblica Serenissima gloria e ornamento, illustrando coi meriti loro la dignità Ducale e i seggi dell’eccelso Senato, e le cariche più cospicue della Città; ma le ha coltivate sì bene nell’animo suo, che superano di gran lunga l’aspettazione che da Lei si ebbe fino ne’ suoi primi anni. Convien dar lode anche in questo alla Nobilissima di Lei Genitrice, la Signora Paola Durazzo, nota al Mondo non solo per la peregrina bellezza sua, ma per la vivacità del suo spirito, per la rarità del talento, e per le doti del cuore. Due sono i principi, da’ quali le virtù dell’uomo nell’età tenera son radicate: il sangue e l’educazione. Tutti e due nell’E. V. furono in sommo grado perfetti, onde non potea non riuscire ammirabile e caro agli occhi di tutto il mondo, degno cui s’offeriscano e le lodi e i tributi. Volesse Dio ch’io fossi uno di que’ fortunati, che spiegar sanno l’ammirazione