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88 | ATTO TERZO |
SCENA X1.
Camera.
Pancranzio e Faccenda.
Pancrazio. Non mi parlare di mio figlio: è un ingrato.
Faccenda. Mi creda ch’è pentito.
Pancrazio. Non sarà vero, fingerà: è uno sciagurato.
Faccenda. Che vuole di più? si voleva ammazzare.
Pancrazio. Si voleva privar di vita?
Faccenda. Signor sì, l’ho trovato con uno stile alla mano...
Pancrazio. Ah2... dove si trova?...
Faccenda. Si fermi; è arrivata madamigella Giannina, ha fatto che getti via il ferro, e non è stato altro. L’assicuro, signore, ch’è pentito di cuore.
Pancrazio. Il ciel lo voglia. Caro Faccenda, dov’è? Perchè non viene dal suo povero padre, che lo ama tanto? Io stesso anderò a ritrovarlo...
Faccenda. Si fermi per un momento, mentre vi sono dell’altre novità.
Pancrazio. Buone, o cattive?
Faccenda. Nella strada vi sono sette o otto persone che aspettano. Vi sono quei tre giovani di questa mattina con le lettere di cambio. E v’è il medico de’ duemila ducati.
Pancrazio. Anche colui? Gli ho pur detto che venga domani.
Faccenda. Avrà inteso mormorare in piazza, ed ha anticipato. Vi è dell’altra gente. Certe faccie toste che non conosco; non so che dire, ho paura di qualche disgrazia.
Pancrazio. Che vi sieno de’ birri?
Faccenda. Non crederei.
Pancrazio. Qualche ministro per sequestrare?
Faccenda. Può essere. Tengo chiusa la porta della scaletta, e dico a tutti ch’è a pranzo.
Pancrazio. In casa mia non si sono più udite di queste cose!