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438 ATTO PRIMO

Cate. Oe, Checca, to compare t’alo mandà la bandaa?

Checca. Gnanca un fior nol m’ha mandà.

Cate. Oh che spilorzabche el xe!

Sgualda. T’alo manda confetti?

Checca. Gnanca un fià de tossegoc.

Sgualda. Oh che arsurad! Va là, che ti gh’ha un bel compare.

Beatrice. E per questo? Perchè il signor Pantalone non manda, non spende, non è un galantuomo? Gran lingue avete voi altre donne.

Sgualda. Oh la varda, cara ela, che la nostra lengua no sarà compagna della soa.

Eleonora. Mi pare che dovreste avere un poco di rispetto per le persone civili.

Sgualda. Cate, cossa distu? Astu sentìo?

Cate. Oh che caldo! Me vien su le fumane1 de Pasqua matta.

Checca. Oe, zermane, voleu aver giudizio?

Sgualda. Quando vienlo sto to novizzo? Cate, aria.

Cate. Gnanca in te la mente.

Beatrice. Donna Sgualda, perchè non andate a vendere i vostri abiti vecchi e le vostre galanterie?

Sgualda. Ancuo2 no vendo, la veda, lustrissima; gh’ho da magnar, sala, siben che no vendo.

Eleonora. E voi oggi non lavate? (a Cate)

Cate. Oh, no la s’indubita che le so strazze de camise le sarà lavae.

Eleonora. Come parlate? Mi parete una impertinente.

Cate. Sgualda, Sgualda, se scalda i ferri.

Eleonora. Orsù, Checca mia, voi mi avete invitata alle vostre nozze, ed io, e per la vicinanza, e perchè voglio bene a Beppo, che è figlio del mio fattore, ci sono venuta; ma con questa sorta di gente io non voglio addomesticarmi.

Checca. Cara lustrissima, no la vaga via.

  1. Fiori per adornarsi una parte del capo e una parte del seno.
  2. Spilorcio.
  3. Tossico.
  4. Spiantato.
  1. I fumi, il caldo: v. Boerio, Diz.io cit.
  2. Oggi: v. vol. II, 152, n. a ecc.