Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/192

182 ATTO TERZO


vi amo e vi amerò sempre. Compatisco la necessità che vi stacca dall’amor mio, voi sarete d’altrui, ma io sarò sempre vostro. Voi vi sposerere fra poco, io morirò quanto prima.

Rosaura. Oh Dio! Non posso nè rispondere, nè mirarlo, (piange)

Lelio. (Manco male; se non l’ho io, non l’abbia nemmeno il mio rivale). (da sè)

Ridolfo. Rosaura, andiamo. Compatite. (a Florindo)

Tenente. Signore, chi sono questi che piangono? (a Pantalone)

Pantalone. Do poveri innamorai che se lassa. Questo xe un certo Florindo Ardenti, e quella la contessa dell’Isola, quondam Rosaura.

Tenente. Dov’è suo padre? Dov’è il conte Ernesto?

Ridolfo. (Oimè! Son conosciuto). (da sè) Eccomi ai vostri cenni.

Tenente. Con l’occasione che io venni ad eseguire in questa terra gli ordini regi, mi fu data una commissione per voi. Gli amici vostri, che trattato hanno il vostro accomodamento col conte Ruggiero, vi fanno sapere che il di lui figliuolo, il quale doveva sposar vostra figlia, ha confessato essere segretamente ammogliato in Olanda, con sensibile dispiacere del suo genitore. Egli per altro si è appagato della vostra disposizione ad un tal matrimonio, ed ha senz’altre riserve sottoscritti i capitoli della pace, li quali a voi offerisco per ordine dei mediatori, acciò vi consoliate e siate più lieto nel ritornare a Napoli colla vostra figliuola.

Ridolfo. Siano ringraziati i Numi.

Rosaura. Caro padre, io sarò dunque libera dal vostro impegno?

Florindo. Signore, quello che doveva sposar vostra figlia, è ammogliato in Olanda?

Ridolfo. Ah giovani innamorati, v’intendo. Figlia, l’amor mio vi dia quest’ultima prova della sua tenerezza. Non fia che il contento di conoscere il padre vi costi la perdita dell’amante. Abbracciatevi con giubbilo, con letizia, e dalle braccia di vostro padre passate a quelle del caro sposo. (si avvicina a Florindo, che la prende per mano.)

Lelio. Ah, questo è troppo! Toglietemi dinanzi agli occhi l’og-