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L'INCOGNITA 181


ti poi far giudizio, schivar mazori pericoli e castighi più grandi, ringrazio el cielo; accetto sto dolor per una providenza del cielo, e morirò più contento, se te lasso in un liogo che poi essere un zorno la to salute. (a Lelio)

Lelio. Per quel che sento, voi non impiegherete un passo per liberarmi. (a Pantalone)

Pantalone. Ghe penserò. (Cagadonao, ti m’ha fatto paura anca a mi). (da sè)

Tenente. Per questa notte qui resterete in arresto con sentinella di vista. Ehi, prendete i posti. (i soldati con baionetta in canna occupano le due porte)

Ridolfo. Signor Pantalone, con vostra licenza, prendo mia figlia e meco me la conduco.

Pantalone. Per mi, comodeve pur.

Lelio. (Che smania non poterlo impedire). (da sè)

Ridolfo. Figlia, andiamo.

Rosaura. Eccomi ad ubbidirvi. (piange)

Ridolfo. Oh Dio! Quando avrai finito di piangere?

Rosaura. Quando avrò finito di vivere.

Ridolfo. Perchè non ringraziare il cielo di averti preservata da tante e tante sventure?

Rosaura. Ah, una me ne riserba, che avvelena tutte le mie contentezze.

Ridolfo. T’intendo. Tu peni per le nozze che io ti propongo. Odimi; io t’amo, e pria di vederti dolente, sagrifico anco la mia vita alla tua passione.

Rosaura. No, padre, andiamo pure; troppo avete per me sofferto, troppo a voi devo. Sarei un’ingrata, se ricusassi di compiacervi.

SCENA XXI.

Florindo e detti.

Florindo. Deh, prima che da me v’involiate, permettetemi, cara Rosaura, che due parole vi dica; me lo conceda il padre, me l’accordi il padrone di questa casa. Rosaura, io vi ho amata,