Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1909, VI.djvu/161


L'INCOGNITA 151

Ottavio. Vengano pure. Chi sono?

Mingone. Sono uomo e donna. L’uomo è un vecchio, che si chiama Ridolfo.

Rosaura. Oh Dio! Ecco il mio benefattore, il mio amorosissimo padre. (si alzano)

Ottavio. Fate che passino. (Mingane parte) E la donna chi sarà mai? ( Rosaura)

Rosaura. Non lo saprei immaginare.

SCENA X.

Ridolfo, Eleonora ed i suddetti.

Rosaura. Che vedo? La mia contessa Eleonora?

Eleonora. Cara Rosaura, lasciate che al mio seno vi stringa.

Ridolfo. Cara figlia... Signore, vi domando perdono. (ad Ottavio)

Ottavio. Seguite i vostri teneri affetti.

Rosaura. Quanto mi avete fatto penare!

Ridolfo. Ah ingrata! Quanto mi volevate far piangere... Signore, vi domando perdono. (ad Ottavio)

Eleonora. Compatiteci. Egli ama questa fanciulla come figlia, ed io l’amo come sorella. (ad Ottavio)

Ottavio. Sono a parte dei vostri contenti.

Ridolfo. Lasciate ch’io vi abbracci, ch’io mi consoli... Signore, perdonatemi, siete voi il signor Ottavio?

Ottavio. Quello appunto son io.

Ridolfo. (Rosaura, è veramente egli il signor Ottavio del Bosco?) (a Rosaura)

Rosaura. (Sì, è desso).

Ridolfo. (Mi ricordo ancora di quello che mi ha stramazzato per terra). (da sè)

Eleonora. Signore, abbiamo necessità dell’aiuto vostro. In me vedete la vostra serva Eleonora de’ conti di Monte Rosso1. (ad Ottavio)

  1. Distrazione goldoniana. Nelle scene VII e IX si chiama Castel Rosso.