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118 ATTO PRIMO

Rosaura. Più volte mi ha chiesto amori.

Ottavio. Qual sorta d’amori?

Rosaura. Di quelli che chiedono i discoli pari suoi.

Ottavio. E voi l’avete scacciato?

Rosaura. Si signore.

Ottavio. Vi lodo, vi stimo e vi reputo per una giovane di merito singolare.

Rosaura. Signore, io non pretendo di aver gran merito a far quello che ogni fanciulla onorata è obbligata di fare.

Ottavio. Felice il mondo, se tutti facessero quello che sono obbligati a fare. Ma ditemi, chi siete voi? All’aspetto, al brio, al ragionar che voi fate, mostra essere di voi indegno quell’abito villereccio che ora portate.

Rosaura. I miei casi non sono di così lieve rimarco, che possa farvene brevemente il racconto, nè sono in grado di favellare più a lungo, oppressa tuttavia dal timore e dalla pena, che egualmente mi opprimono.

Ottavio. Qual timore? Qual pena? Voi siete in luogo di sicurezza.

Rosaura. Ah, che la mia pena, il mio timore sono diretti a chi amo più di me stessa.

Ottavio. Dunque amate?

Rosaura. Signore, e chi non ama?

Ottavio. E chi è l’oggetto de’ vostri amori?

Rosaura. Florindo, quel giovane cittadino che abita in questa terra.

Ottavio. Sì, conosco anche lui. Giovane di buoni e morigerati costumi. Pratica frequentemente nella mia casa. E qual timore avete per lui?

Rosaura. Lelio lo assalì colla spada.

Ottavio. Quando? Dove?

Rosaura. Dietro al vostro giardino, mentre Florindo istesso seco tacitamente mi conduceva.

Ottavio. Florindo vi conduceva seco tacitamente?

Rosaura. Lo facea per sottrarmi...