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578 ATTO SECONDO


alla Posta. Ci voglio andare da me; qualche cosa forse rileverò). (da sè)

Truffaldino. La sappia, signor, che in sto paese bisogna magnar, e chi no magna, s’ammala.

Florindo. Devo uscire per un affar di premura. Se torno a pranzo, bene; quando no, mangerò questa sera. Tu, se vuoi, fatti dar da mangiare.

Truffaldino. Oh, non occorr’altro. Co l’è cussì, che el se comoda, che l’è patron.

Florindo. Questi danari mi pesano; tieni, mettili nel mio baule. Eccoti la chiave. (dà a Truffaldino la borsa dei cento ducati e la chiave)

Truffaldino. La servo e ghe porto la chiave.

Florindo. No, no, me la darai. Non mi vo’ trattenere. Se non torno a pranzo, vieni alla piazza; attenderò con impazienza che tu abbia ritrovato Pasquale. (parte)

SCENA XI.

Truffaldino, poi Beatrice con un foglio in mano.

Truffaldino. Manco mal, che l’ha dito che me fazza dar da magnar; cussì anderemo d’accordo. Se nol vol magnar lu, che el lassa star. La mia complession no l’è fatta per dezunar. Vôi metter via sta borsa e pò subito...

Beatrice. Ehi, Truffaldino?

Truffaldino. (Oh diavolo!) (da sè)

Beatrice. Il signor Pantalone de’ Bisognosi ti ha dato una borsa con cento ducati?

Truffaldino. Sior sì, el me l’ha dada.

Beatrice. E perchè dunque non me la dai?

Truffaldino. Mo vienla a Vussioria?

Beatrice. Se viene a me? Che cosa ti ha detto, quando ti ha dato la borsa?

Truffaldino. El m’ha dit che la daga al me patron.

Beatrice. Bene, il tuo padrone chi è?

Truffaldino. Vussioria.