Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
326 | ATTO TERZO |
SCENA XX.
Celio, Ottavio e detti.
Celio. È vera la nuova dataci dal signor Dottore?
Beatrice. Verissima, e ve n’è un’altra più bella. Mio fratello è sposo della signora Clarice.
Ottavio. O signora sorella, mi rallegro con voi.
Clarice. Il suo cambiamento mi ha indotto a farlo.
Celio. Ho anch’io da darvi, signor cognato, una nuova curiosa. Ho saputo che il fattore cercava in fretta di vendere a precipizio del grano, e che faceva bauli per andarsene via. Ho sospettato di qualche sua bricconata, e l’ho fatto metter in prigione.
Momolo. Bravissimo, avè fatto ben. Cussì el me renderà conto de tutto quello che el m’ha magnà.
SCENA XXI.
Leandro e detti.
Leandro. Signora Clarice, il burchiello è pronto, i barcaruoli son lesti e dicono che bisogna sollecitare.
Clarice. Signor Leandro, vi ringrazio infinitamente della vostra attenzione. Mi dispiace dell’incomodo che vi siete preso; ma ora non sono più in arbitrio di dispone di me medesima, dovendo dipendere dallo sposo.
Leandro. Dallo sposo? E chi è questi?
Momolo. Son mi, per servirla. (a Leandro)
Leandro. Questo è un affare condotto in simil guisa, affine di maggiormente insultarmi. Non so da chi provenga l’ingiuria, ne vo’ saperlo; ma voi me ne dovrete dar conto, (a Momolo)
Momolo. Sior sì, quando che volè; adesso gh’ho spada e scudo, che no gh’ho paura.
Clarice. È superfluo che vi riscaldiate; sapete già... (a Leandro)