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296 | ATTO SECONDO |
Celio. Di questo n’era già persuaso.
Clarice. A che fine dunque mi ha parlato in tal guisa del signor Momolo?
Celio. Per carità, signora, e forse ancora per qualche mio particolare interesse.
Clarice. (Sta a veder che si scopre). (da sè)
Celio. Vedo ch’ella è una signora di garbo, e però mi prendo la libertà di darle un avvertimento da galantuomo. Veda di sollecitare la sua partenza, che sarà meglio per lei.
Clarice. (Vo’ provarmi di scuoprire la sua intenzione). (da sè) Vossignoria pensa di ritornare presto a Venezia?
Celio. Può essere questa sera o domani.
Clarice. Sicchè, quando io partissi, potrei goder della sua compagnia.
Celio. (Va cercando chi le paghi il viaggio), (da sè) Dubito di non poterla servire, perchè ho la moglie che è un poco gelosa.
Clarice. (È maritato? Che pretende dunque costui?) (da sè)
Celio. (Vede che non vi è da far bene). (da sè)
Clarice. Veramente dissi così per un atto di civiltà, peraltro non ho bisogno di compagnia; partirò con quelle stesse persone, colle quali son qui venuta.
Celio. È in compagnia dunque?
Clarice. Credeva ch’io fossi venuta sola?
Celio. Sono forse con lei quei due forestieri, che ho veduti qui in casa del signor Momolo?
Clarice. Per l’appunto: un mio fratello ed un mio cugino.
Celio. Fratello e cugino! Se poi non fosse vero, non preme.
Clarice. Come? Che parlare è il vostro? Chi credete voi ch’io sia?
Celio. Chi siate io non lo so, nè cerco saperlo. Dicovi solamente che il signor Momolo è rovinato, e non è giusto che si precipiti d’avvantaggio.
Clarice. Signore, voi che mi parlate in tal guisa, chi siete?
Celio. Sono interessato per la sua casa, e vedendolo assassinare...
Clarice. Mi maraviglio di voi. Così non si parla colle donne onorate della mia sorte. Sono una vedova onesta, sono una