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guida a quel convento, molto discosto. Soggiunse però che colà non avrebbero avuto gran che a lodarsi del trattamento; che lo stabilimento era bensì vasto, e capace di dar alloggio a non ricordo quanti pellegrini; ma che oggigiorno si trovava piuttosto in decadenza, ed i redditi ricevevano altra destinazione.

Mentre ci trattenevano in questi discorsi, passavano davanti ai nostri occhi le sponde amene della Brenta, con parecchi bei giardini, vari stupendi palazzi, non che villaggi di bella apparenza, i quali succedendosi rapidamente gli uni agli altri, si offerivano al nostro sguardo. Appena poi entrammo nella laguna, la nostra barca si trovò circondata di gondole. Un Lombardo, molto pratico di Venezia, mi fece proposta di accompagnarlo per guadagnare tempo, e scansare le noie della dogana. Egli seppe, con una mancia, tenere lontani taluni che volevano ritardare il nostro sbarco, e per tal guisa vogammo rapidamente, alla luce di un magnifico tramonto, verso la nostra meta.


Il 29 giorno di S. Michele. A sera.

Di Venezia si è di già narrato e scritto oramai tanto, che io non intendo punto farne una descrizione. Narrerò unicamente quanto mi avvenne, le cose le quali mi colpirono.

È la prima fù qui ancora il popolo, questa folla immensa, la quale, non spontaneamente, ma per necessità fu condotta a vivere diversamente dagli altri popoli.

Non fu per propria elezione che i primi abitatori si stabilirono su queste isole, nè che vennero altri unirsi ai primi; la necessità fu quella la quale li spinse a cercare sicurezza in una località infelice che col tempo seppero rendere felicissima, e che li rese avveduti allorquando tutte le contrade settentrionali trovavansi immerse tuttora nelle tenebre. D’allora in poi, le case sorsero le une a fianco alle altre, le paludi, le sabbie furono rese ferme, e stabili per mezzo delle pietre, e le case cercando aria, nè più nè meno che le piante le quali crescono chiuse