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volta una lezione nell’università di Padova. Il gran duca Leopoldo vi eresse le due statue di Petrarca e di Galileo. Tutte quelle statue sono opere pregevoli di scultori moderni, alcune forse alquanto manierate, improntate però di molta naturalezza, tutte poi nel costume del tempo a cui appartengono, non che colle insegne delle dignità sostenute dalle persone che rappresentano. Anche le inscrizioni sono in generale degne d’encomio; nulla vi si rinviene di esagerato, o di puerile.

Questo pensiero sarebbe stato felice in qualsiasi università; in questa poi si deve dire felicissimo, imperocchè la si può gloriare di uno splendido passato. In complesso, questa piazza sarà bellissima, allorquando vi si saranno atterrate le catapecchie in legno che la deturpano, e vi si sarà sostituita la fiera progettata in muratura.

Nell’oratorio di una confraternità la quale ha S. Antonio per patrono, esistono quadri antichi, i quali ricordano l’antica scuola tedesca, e vi si vedono pure alcuni dipinti del Tiziano, nei quali si possono già riconoscere i progressi fatti dalla pittura, dei quali non è possibile avere idea, a chi non ha varcate le alpi. Vidi pure colà alcuni quadri moderni, e se i loro autori non seppero raggiungere nelle loro opere il sublime, valsero però a dare loro una certa grazia. La decapitazione di San Giovanni del Piazzetta, quando si voglia ammettere la maniera di quel maestro, si può dire in quel senso un capo lavoro. Il santo è rappresentato curvo, col ginocchio diritto che posa sopra un sasso, e colle mani giunte. Il suo sguardo è rivolto al cielo. Il manigoldo, il quale lo tiene legato da tergo, si piega, e guarda il santo nella fisionomia, quasi attonito della rassegnazione di questi. Più in alto sta un altro manigoldo, destinato a portare il colpo, il quale però non tiene ancora la scure, ma fa colla mano il gesto di provare prima il colpo. Un terzo manigoldo, estrae la sciabola dal fodero. L’idea del quadro è felice, quantunque non si possa dire grandiosa, ed in complesso, il dipinto colpisce.