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ben trenta mille, senza tenere conto di quelli, che si allevano e s’ingrassano nelle case. Arrivano inoltre asinelli in numero sterminato, carichi di capponi, di agnelli, di legumi, i quali tutti vengono avviati sul mercato, ed i cumuli di uova che colà si vedono, sono di un tale volume, da non potersi imaginare. E non basta il piacere di consumare tutta quella roba; in ogni anno un ufficiale di pulizia percorre la città a cavallo, preceduto da un trombetta, ed annuncia su tutte le piazze, sui crocicchi delle strade, quanti buoi, quanti vitelli, quanti agnelli, quanti maiali abbiano divorato i Napoletani. Il popolo ascolta con attenzione quella lunga litania, e si rallegra nell’udire tutti quei numeri, ricordando ognuno con compiacenza la parte presa a quella soddisfazione generale.

I cibi condizionati colla farina e con il latte, che le nostre cuoche sono valenti ad apprestare in tante svariate maniere, sono doppiamente apprezzati da questo popolo, dove sono poche le varietà di quelli, e dove non si hanno forni adatti a cuocerli. I maccheroni formati di una pasta fina, lavorata a lungo, molta compressa, e fatta passare a traverso forme apposite, sono di varie qualità, e si trovano dovunque a modico prezzo. Si fanno in generale cuocere semplicemente nell’acqua, quindi si condiscono con il cacio sul piatto stesso. Sull’angolo di tutte le strade principali si vedono friggitori colle loro padelle piene di olio bollente, occupati, nei giorni di festa specialmente, a friggere pesci, o cialde sull’istante, a chiunque loro ne porga domanda. Lo smercio di quei cibi fritti è grandissimo, e parecchie migliaia d’individui, portano via, da quelle botteghe all’aria aperta, il loro pranzo e la loro cena, in un pezzo di carta.


Napoli, il 30 maggio 1787.

Nel passeggiare a sera inoltrata per la città, arrivai al Molo. Colà vidi in un solo colpo d’occhio la luna, i lembi