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tettura mi ricordò i capitelli del Panteon di Manhein. Non è più quistione dei santi della nostra architettura gotica, i quali sorgono sopra mensoline, nè delle nostre colonnine, che paiono tubi di pipe da tabacco, nè di quelle guglie sottili, le quali terminano in un fiore! Di tutta quella robaccia, grazie a Dio, sono libero per ora.
Voglio ricordare ancora qui alcune opere di scultura che ho viste in questi giorni, e che mi hanno fatta impressione, tuttochè io le abbia contemplate di passaggio, ed alla sfuggita; sono i due grossi leoni in marmo bianco, i quali stanno sulla porta dell’arsenale, l’uno nell’atto di dormire, l’altro seduto, appoggiato sulle zampe anteriori; contrasti stupendi della varietà della vita. Sono di tal grandezza, che impiccioliscono tutto quanto sta loro vicino, e che l’uomo stesso si sentirebbe annientato alla loro presenza, se non valesse a rialzarlo la contemplazione di oggetti sublimi. Sono per certo quei due leoni lavoro dei tempi migliori della scultura greca, e vennero portati a Venezia dal Pireo, nell’epoca più splendida della repubblica.
Sono probabilmente pure di origine greca due bassi rilievi, che si scorgono incastrati nel muro nella chiesa di S. Giustina, la vincitrice dei Turchi, ma che disgraziatamente trovansi in certo modo privi di luce dagli stalli della chiesa. Il sagrestano me li fece osservare, perchè la tradizione narra abbia il Tiziano tolti da quelli le forme degli angioli d’inarrivabile bellezza, che si scorgono nel suo quadro del martirio di S. Pietro. Nel basso rilievo sono genii, i quali portano gli attributi delle varie divinità, e per dir vero di una tal bellezza, da non potersi imaginare l’uguale.
Contemplai del pari con molto piacere nella corte di non so più quale palazzo, una statua colossale di Marco Agrippa nudo; ed un Delfino che gli stà allato, pare volere alludere ad una vittoria di mare. Quanto non rende poi un semplice mortale simile agli Dei, quella rappresentazione in attitudine eroica!