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Filosofia zoologica 47

spazio, che raggia in tutti i sensi. Per la qualcosa, fatta la esperienza, registrata l’osservazione, non sarà mai troppa la cura che noi dovremo porre nel cercare ciò che si trova in contatto immediato con essa, ciò che ne risulta prossimamente; ciò è più importante che non il sapere quali siano i fatti che hanno rapporto col nostro. Deve quindi ogni naturalista variare i suoi sperimenti isolati. Ciò è l’opposto di quanto deve fare uno scrittore che voglia riuscire interessante. Questo scrittore riuscirà noioso a chi lo legge e se non gli lascia nulla da indovinare, mentre il naturalista deve lavorare senza tregua come se non volesse lasciar più nulla da fare ai suoi successori. La sproporzione fra la nostra intelligenza e la natura delle cose lo avvertirà abbastanza sollecitamente che non v’ha un uomo il quale abbia la capacità di finirla con un argomento, qualunque esso sia.

Nei due primi capitoli della mia Ottica, ho cercato di formare una serie di sperimenti congeneri, i quali si toccano immediatamente, per modo che, quando siano considerati nel loro complesso, non formano, propriamente parlando, che uno sperimento solo, e non sono che una sola osservazione, presentata in mille diversi aspetti.

Una osservazione che per tal modo ne contiene parecchie è evidentemente di un ordine più elevato. È l’analogia della formola algebrica che rappresenta migliaia di calcoli aritmetici isolati. Il naturalista ha questa alta missione di arrivare a così fatti sperimenti di un ordine elevato, e ciò è ben dimostrato dallo esempio degli uomini più rimarchevoli nelle scienze.

Questo metodo prudente, che consiste nel procedere di punto in punto, o piuttosto nel trarre delle conseguenze le une dalle altre, ci viene dai matematici; e, sebbene noi non facciamo uso di calcoli, dobbiamo sempre procedere come se dovessimo rendere conto dei nostri la-