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Gioberti non sembrò vero di trovare cosi onesto editore: chiese dunque diecimila franchi di compenso (0, aggiungendo sempre la condizione che la stampa si facesse a Parigi, e riservandosi la facoltá di poter ristampare per proprio conto il lavoro dopo un certo tempo (che fu poi fissato in dieci anni), nel caso che volesse raccogliere in un sol corpo le proprie opere ( 2 ). Il Bocca annui a tutto; e il Gioberti dal suo canto promise d’iniziare la stampa nell’agosto 1851 ( 3 ). E mantenne la parola. «Sto copiando la mia opera, perché la stampa ne dovrá cominciare nell’agosto», scriveva al Massari, il 5 luglio (4). E il 27, al Pallavicino: «Sto mettendo al netto la mia fagiuolata, a cui in breve darò la punta» ( 5 ). E finalmente, il 29 luglio, al Farini, con un gran sospiro di soddisfazione: «L’opera è compiuta» ( 1 2 3 4 5 6 7 8 ). E ancora una volta, il 6 agosto, a! Carutti: «La mia opera è finita»( 7 ).

In mezzo a questo ardente fervore di lavoro, non mancò all’autore del Rinnovamento qualche preoccupazione: nientedimeno gli si era susurrato all’orecchio che il governo piemontese, temendo chi sa quali rivelazioni e non potendo sottoporre l’opera al sindacato della censura, che piú non esisteva, avrebbe còlto il pretesto che il libro era stato stampato all’estero per farlo capitare sotto gli artigli della polizia, la quale avrebbe ben saputo trovarvi dentro tanto da vietarne l’introduzione negli Stati sardi. «Il Bocca le avrá comunicato le mie risoluzioni intorno alla censura del mio libro. Se il governo vorrá farmi questo smacco e sottoporre al sindacato della polizia la mia scrittura come si sottopongono i libri forestieri, io rinunzierei alla stampa di Parigi e, benché con mio grave incomodo, andrei a Torino come cittadino sardo e vi pubblicherei l’opera alla barba dei revisori» («). Ma dovett’essere una sciocca diceria, che il fatto poi mostrò completamente infondata.

(1) «Quando ricevette dall’editore Bocca 10000 franchi per la cessione a lui fatta del Rinnovamento, li rinchiuse in un cassettino del suo scrittoio e li spese a poco a poco, mangiandosi il piccolo capitale, senza curarsi di darlo a frutto, almeno in parte. Nella vita pratica era un vero bambino». Pallavicino, Ultimi momenti di V. G., in Mainhri, p. 374.

(2) Lett. al Carutti del 17 giugno 1851, in Massari, p. 493.

(3) Lett. al Carutti del 25 giugno 1851, in Massari, p. 494.

(4) Massari, p. 486.

(5) Maineri, p. 149.

(6) Massari, loc. cit.

(7) Massari, p. 499.

(8) Lett. al Carutti cit., in Massari, loc. cit.