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e il cavaliere Pinelli, i quali (e specialmente il secondo) vennero da me piú volte in quei giorni e usarono lo stesso linguaggio. Il Pinelli si espresse nei termini piú efficaci e piú vivi intorno alla necessitá della pace e all’impossibilitá della guerra; il Merlo fece altrettanto, benché piú concisamente». A questo mio discorso il professore Merlo oppone due osservazioni: 1. che egli e i suoi colleghi volevano una pace onorevole; 2. che io voleva la guerra a ogni costo ed era alieno da ogni pratica di pace. Ascoltiamo le sue parole:

Dichiaro sull’onor mio che nei miei colloqui col signor Gioberti, tenuti dopo i disastri del nostro esercito, non ho mai detto una sola parola che lasciasse supporre esser io disposto a consentire ad una pace ad ogni costo, qualora fossi per entrare in un ministero; ché per lo contrario, tanto nella prima quanto in tutte le altre successive conferenze che ebbi col signor conte di Revel per la combinazione ministeriale e cogli altri miei colleghi che di mano in mano vi si accostavano, non si parlò mai d’altro scopo che d’una pace onorevole, e ninno meglio del signor Gioberti sa quale e quanta sia la differenza tra una pace onorevole ed una pace ad ogni costo

Se poi il signor Gioberti supponesse avergli io raffermata l’opinione politica che egli attribuisce al predetto signor conte nella mattina del 20 agosto, in cui ebbi a visitarlo, dico che, ben lungi d’aver parlato di pace ad ogni costo, gli ho spiegato che tutta la differenza tra il pubblicato ministeriale programma e l’opinione del signor Gioberti consisteva in ciò: che il primo ammetteva la previa trattativa d’una pace onorevole, l’altro non ammetteva trattative di sorta e stava per la guerra ad ogni costo; e mi fu risposto da lui che la pace onorevole non l’avremmo ottenuta dall’Austria; ed io replicai che in tal caso il ministero non sottoscriverebbe mai ad una pace diversa.

Io non ho mai d< tto che il professore Merlo, il conte di Revel e i loro colleghi volessero una pace che nel loro concetto fosse disonorevole; anzi ho implicitamente accennato il contrario, chiamandoli nel mio Discorso al circolo nazionale di Torino «uomini onorandi e di buone intenzioni» e dando loro quelle lodi che si leggono nella mia scrittura sui Due programmi. Ma si tratta di vedere se la pace, chiamata e giudicata «onorevole» dal professore Merlo e dai suoi consorti per errore non d’animo ma d’intelletto, sia veramente tale; e se non sia anzi da riputarsi ignobile e vile, chi comprenda i veri interessi d’ Italia e stimi dirittamente il decoro della nazione. Qui sta il punto della controversia e non