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capitolo decimoterzo 93


la societá, lo Stato, la patria comune contengono le provincie, le cittá, i municipi, le famiglie e i particolari uomini. Le nazionalitá infatti sono verso il nostro genere quel medesimo che gl’individui verso la ci vii comunanza; e nel modo che questa consta di quelli, similmente la nostra specie è composta d’individualitá nazionali che concorrono al suo essere come le varie membra a quello del corpo umano. Le divisioni etnografiche dánno ordine e concretezza all’umanitá generale, che fuor di loro diventa un’astrazione o un guazzabuglio. Perciò le nazionalitá non sono opere artificiali ma naturali e divine, come vedremo; cosicché se il cristianesimo e il cattolicismo fossero «perpetua cagione del loro non essere», ne seguirebbe che entrambi ripugnano alle leggi primarie di natura.

Ma il detto di Giulio è pagano e non cristiano. — Pagano e non cristiano è il liberar l’Italia dai barbari! e queste parole si stampano in Torino anzi che a Vienna! si scrivono da un italiano mentre sono ancor calde sui campi lombardi le ceneri dei generosi! Questi dunque morirono per un’idea pagana? pagano era Carlo Alberto che consacrolle lo scorcio de’ suoi giorni, il trono, la vita? pagani erano quei pontefici che assai prima di Giulio capitanavano le leghe dei popoli italici contro gl’imperatori? pagano in fine era lo stesso Pio nono quando diceva di affidarsi che «la generosa nazione tedesca, onestamente altera della nazionalitá propria, non metterebbe l’onor suo in sanguinosi tentativi contro la nazione italiana, ma piuttosto nel riconoscerla nobilmente per sorella, come entrambe sono figliuole nostre e al cuor nostro carissime, riducendosi ad abitare ciascuna i naturali confini con onorevoli patti e con la benedizione del Signore»?1. Io non so che concetto si formi il signor Melegari del paganesimo e del cristianesimo, giacché non posso credere che un tal uomo misuri i sensi dell’evangelio dalle dottrine incivili ed imbelli dei falsi mistici e dei gesuiti. Se il culto della patria si chiama «pagano» perché gli antichi



  1. Lettera all’imperatore iti data dei 3 di maggio del i545 (Farini, op. cit., t. ii, p. i37).