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CAPITOLO DECIMOTERZO


Riandati gli errori e i falli delle sètte, passiamo a quelli dei principi. Il che faremo liberamente, senza temere che ce lo vieti la loro inviolabilitá civile, la quale gli franca bensí dal politico non dal morale e storico sindacato. Oltre che, questa prerogativa, essendo nata dal Risorgimento italiano, non può stendersi ai fatti che lo riguardano; e la parte che i principi vi ebbero cosi nel dargli principio come nell’indirizzario, sovrastando agli ordini che ne provennero ed essendo eslege e dittatoria, soggiace naturalmente al giudizio degli scrittori. Si aggiunga che i sovrani di temperato dominio perdono il privilegio di non essere sindacabili quando ne abusano alterando o manomettendo gl’instituti che lo partoriscono. E per comune consenso è lecito il biasimo anco verso di essi, quando cessa l’una o l’altra delle due condizioni in cui si fonda l’immunitá loro, cioè la vita materiale o la civile. Carlo Alberto non è piú tra i vivi: Pio, Leopoldo, Ferdinando, avendo spenta la libertá e stretto lega co’ suoi nemici, sono morti alla patria e, come principi costituzionali, non appartengono piú al secolo ma all’istoria.

Il mio tema però non richiede ch’io discorra partitamente di tutti. Le colpe del Borbone sono cosi manifeste, enormi ed atroci, che sarebbe tempo perduto il farne parola; e io debbo, scartato il superfluo, ristringermi al necessario. Ed è quasi piú ingiurioso in alcuni casi all’umanitá del secolo il muover processo alla tirannide che il giustificarla, perché questo può parere