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capitolo duodecimo 63


Fino al punto del dissidio la nostra amministrazione era stata il contrappelo di quella dei i9 di agosto. La quale avea fatto ogni opera per impedire la guerra, l’unione, il regno dell’alta Italia, la lega politica e nazionale; si era ristretta nei termini del solo Piemonte, trascurando affatto di sopravvegliare e dirigere colle pratiche e colle influenze il resto della penisola. Noi al contrario ci proponemmo di mettere in atto l’egemonia subalpina e di valerci di essa per ricuperare l’indipendenza e assicurare la libertá in tutti gli Stati italici. Vero è che non riuscimmo colle vie pacifiche perché troppo tarde, e portammo la pena degli altrui falli. I negoziati, che qualche mese prima sarebbero stati efficacissimi, tornarono vani da che i disordini erano montati all’eccesso. I nostri precessori aveano coi loro atti perduto un tempo prezioso, scemataci la libertá, addossatici gl’impegni da loro contratti, e tolti molti spedienti che poco innanzi erano in nostro potere. La mediazione accettata non si poteva troncare ex abrupto senza grave ingiuria della Francia e dell’Inghilterra. Gli apparecchi militari erano stati condotti con tal mollezza e l’esercito si sfiduciato, che una subita ripresa di armi contro l’Austria era impossibile. Né meglio potea sperarsi compagna al cimento la Francia, da che la sua politica era men liberale e il governo di Luigi Buonaparte libero dagli obblighi del precessore1. Per mantenere adunque al ministero democratico il suo carattere primitivo era d’uopo all’egemonia pacifica supplire colla guerriera; al che i casi di Toscana e di



  1. Quando i conservatori e i municipali toccarono con mano che la nostra amministrazione quantunque democratica era insieme conservatrice, non sapendo piú come combatterla, presero a dire eh ’essa era tutt’una colla precedente, che non a torto denominavano dal Pinelli. Dal che seguiva che noi avevamo fatto guerra ai ministri anteriori non mica per variar politica ma per governare in loro scambio. Benché, da quel poco che allora si conosceva, un uomo oculato giú potesse inferire che il Pinelli ed io eravamo cosi distanti come il polo artico e l’antartico, tuttavia non è ila stupire che chi giudicava di lui dal suo programma e credeva i fatti consentanei alle parole, stimasse il contrario. Cosi, per cagion di esempio, il Risorgimento, scrivendo che «la Costituente del programma Gioberti era poco piú poco meno la federazione del sistema Pinelli» (i0 febbraio i849), doveva ignorare che questa era una solenne impostura, poiché il Pinelli la rifiutò due volte, benché fosse offerta e sollecitala da uomini cosi autorevoli come il Rosmini ed il Rossi.