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capitolo duodecimo 55


il suo fondamento nell’egemonia piemontese, mirando all’indipendenza di tutta Italia, e quindi non solo a cacciare il Tedesco di Lombardia ma ad impedire che si stendesse altrove e che egli od altri stranieri s’inframmettessero nelle cose nostre, ci abilitava a usar le armi per comporre le differenze quando gli altri partiti non avessero effetto. Ma se questo mezzo ben inteso non potea spiacere a nessuno (salvo che ai puritani e ai retrogradi) e pei beni che ne sarebbero nati dovea gradire a tutti, la falsa contezza che artatamente ne venne sparsa era tale da sdegnare o almeno insospettire il pubblico, e non mi stupisce che la Camera se ne adombrasse. Ben ebbi a dolermi (non dico tanto per me quanto pei tristi casi che seguirono) che niuno de’ suoi membri, udito il clandestino rapporto, m’interrogasse per chiarir bene la cosa prima di giudicare, parendomi che io meritassi questo segno di fiducia quanto i miei colleghi e forse meglio di loro. Imperocché io non credo che alcuno di essi abbia speso molti anni di esilio nel meditare ed apparecchiare le nuove sorti della nostra patria, o che «iniziatore» del suo riscatto per moto spontaneo i popoli lo acclamassero.

Il disciogliere di nuovo la Camera e rifare parzialmente il Consiglio era cosa si grave (massime dopo le indiscrezioni di chi doveva tacere) che mi parve necessario di consultar la pubblica opinione, per conoscere da qual lato inclinasse e quanto io potessi promettermi il suo aiuto. Né avendo altra via di farlo che quella di porgere condizionalmente il mio congedo, manifestai la risoluzione a Urbano Rattazzi, il quale mi disse che se io ero fermo nel mio proposito egli mi avrebbe imitato. Risposi che l’avea caro, perché, essendo compagni nell’uscita, avremmo insieme ripigliato il grado se il principe mi richiamava. Egli mi diede per iscritto la sua rinunzia e io la presentai colla mia al re Carlo Alberto. Il quale stupí e rifiutò in sulle prime di accettare il mio commiato, dicendomi che io era il ministro in cui piti si affidava. Egli mi aveva fatte simili proteste in tutto il corso anteriore della nostra amministrazione, manifestandomi i suoi timori intorno alle opinioni di alcuni de’ miei colleghi. E avevo penato non poco a rassicurarlo, attestandogli piú volte