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ci aveano consentito, e niuno si era immaginato di opporre che «potesse implicarci in lotte non brevi né facili»1, dare al Tedesco occasione d’irrompere, dividere le nostre forze; benché certo l’atto fosse piú ardito, trattandosi di occupare un forte cosi importante senza permissione e saputa del governo di Roma e del pontefice. L’impresa di Toscana veniva sottosopra a sortire lo stesso effetto assai piú facilmente e senza un’ombra di pericolo, giacché essa si faceva di consenso del granduca medesimo2. Ma non era «un errore il credere di poter invadere la Toscana sola senza che la repubblica romana accorresse in aiuto? La solidarietá di ragione e di fatto era giá stabilita fra le due repubbliche, e per superare le loro forze unite non avrebbe certamente bastato una sola divisione del nostro esercito»3. Le forze di Toscana erano nulle, le popolazioni stavano per noi, e chi avea fatto il moto non ebbe pure il pensiero di contrapporsi. La repubblica romana era in tentenne: non avea ancora a’ suoi servigi né l’Avezzana né i volontari e i bersaglieri lombardi né il Manara né il Dandolo né il Morosini, che la difesero eroicamente contro la Francia. I quali amavano la bandiera costituzionale del Piemonte, come il Garibaldi e i suoi valorosi l’aveano avuta cara sin da principio. Egli è pertanto ridicolo

il supporre che Roma, bastando appena alla propria difesa, volesse assumere quella degli altri e cimentarsi contro l’insegna tricolorita che i popoli toscani avevano per salvatrice. Ma che dire ad un uomo ignaro dei fatti piú notori, a segno di credere che la repubblica fosse bandita in Toscana? e che «li stessi repubblicani toscani si unissero per chiamar Leopoldo, quando conobbero la rotta di Novara»?4. ’Putti sanno che il



  1. Risposta dei cessati ministri ecc., p. i9.
  2. Il granduca, che aveva formalmente assentito alla proposta, mutò poscia parere, aggirato da un messo di Napoli. Ma la lettera rivocatrice giunse a Torino che io non era piú ministro e piú giorni dopo il termine prefisso all’intervento; cosicché se questo avesse avuto luogo, il divieto sarebbe giunto dopo il fatto. Noto questa circostanza, perché il Farini presuppone che il re e i miei colleghi disdicessero l’intervento, giá consentito, a causa della detta lettera (Stato romano, t. iii, p. 290)
  3. Sineo, op. cit., p. 26.
  4. Ibid., p. 25