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civiltá patria. Ché se tutti gli esterni non tennero l’invito, l’esempio è dato, l’usanza è introdotta e può ad ogni occorrenza ripetersi e ampliarsi ; cosicché anche nel secolo decimonono l’Italia non è sicura dai tartari e dai turchi. Né ci assicura la varia fede, quando i nemici spirituali del papa possono essere creduti fidi sostegni del principe e per la piú parte dei prelati gl’interessi profani prevalgono ai sacri. Quanto piú si andrá innanzi, e da un canto l’odio sará maggiore, dall’altro il giogo piú insopportabile; tanto piú spesso nascerá il bisogno di ricorrere alle armi di fuori, e ad ogni conato di rivoluzione pioverá in Italia un diluvio di barbari. Il culto Francese non sará piú chiamato o ricuserá di venire, e in sua vece avremo il Croato e il Cosacco orridi e feroci. Chi non vede che per questo solo fatto, incompatibile cogl’interessi piú vivi e sacri d’Italia, Pio nono ha esautorati civilmente i suoi successori?

L’ingegno e la plebe sono dopo l’essere nazionale le forze vive del secolo, che richieggono tutela e affrancamento. Come dall’ultima l’indipendenza, cosi da essa e dalle due prime procedono la libertá, la moralitá, l’uguaglianza, la ricchezza, la potenza, la gloria, cioè le cose piú care; e insomma la civiltá virtuosa che, essendo il fine di quelle, è il massimo di tutti i beni. Ora che culto gentile e che progresso può aver Roma alle mani dei preti? che onore, che tirocinio, che autoritá ci si possono promettere le menti privilegiate? che sollievo e che miglioramento la calca degl’infelici? Dicalo la romana stirpe, che fu giá la prima del mondo e ora è l’ultima. Né però sono spenti i vestigi della grandezza antica; ond’ella si mostra tanto piú maschia e gagliarda quanto meno le miserie e le avanie di tanti secoli valsero a scancellarli. Ma le ricchezze di natura non fruttano se l’arte non le coltiva, e la cittá antica fu grande perché in lei concorreva la gentilezza di ogni paese. «Fu sempre costume di romano l’imitare e adornarsi di tutti quei pregi e lodevoli costumi che sono sparsi in tutti i luoghi e in tutte le genti»(ò. Cosi scriveva l’ultimo dei romani sotto il dominio degli ostrogoti.

(1) Boezio citato dal Varchi {Vita di Boezio).