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capitolo duodecimo 23


al re delle Due Sicilie1 Ma egli non fu piú fortunato del Giacomo Plezza e non potè né anco avere udienza dal principe; cosicché io mi vidi costretto per la dignitá del Piemonte a licenziar da Torino l’inviato napoletano.

Maggior costrutto non ebbero i miei negoziati con Roma. Ottime erano le disposizioni dei ministri democratici e in particolare del Mamiani e del Muzzarelli, né il popolo in quei principi era alieno dalla concordia; ma dura ed inespugnabile fu la corte gaetina. Le rimostranze e le preghiere giungevano troppo tardi: un mese di soggiorno in quel tristo lezzo avea conquiso ogni resto di liberi spiriti nell’animo debole di Pio nono e datolo in balia a un prelato iroso e ai cagnotti di Ferdinando2. Di qui si vede come l’indugio sia stato causa del cattivo esito; chè le istanze riuscite inutili nel gennaio, quando Napoli e Roma erano giá impegnate al male e accordate coi diplomatici alla trista politica che ancor dura, sarebbero state efficaci nel novembre, allorché la chiesta e sollecitata confederazione chiariva che il pontefice era ancor libero e al Borbone correva necessitá di seguirlo3. Ma i ministri dei i9 di agosto, dappoiché ebbero causata col loro pazzo procedere la morte del Rossi e la ritirata di Pio, vollero evitare le «discussioni»: non pensarono pure a spedire un legato al fuggiasco pontefice, profferirglisi in quel frangente, animarlo alla concordia, combattere gl’influssi borbonici; il che in quei primi giorni poteva ancora riuscire,



  1. Il duca di Dino si offerse spontaneamente per la legazione di Napoli, ebbe da me molti segni di stima; onde io debbo tanto piti stupirmi che nell’opera giá citata egli ripeta intorno alla mia amministrazione le falsitá spacciate dai municipali, e ne discorra con una leggerezza che sarebbe plausibile se avesse allora soggiornato in l’echino e non in Torino.
  2. Contribuí a causare il selvaggio contegno di Napoli e a render Gaeta intrattabile lo scritto precitato di Massimo di Azeglio; il quale, rappresentando la nostra amministrazione come nata da raggiri e informata da spiriti demagogici, le pregiudicò nelle corti italiane. I ministri di Pio e di Ferdinando avevano un buon pretesto per non porgere orecchio a chi era accusato d’intendersela col Mazzini da un uomo illustre fra i liberali. Il nostro programma fu creduto impostura; e il parlamento sardo essendo chiuso, non era tuttavia comparsa la Dichiarazione.
  3. Pellegrino Rossi tenea per fermo l’ingresso di Napoli nella lega, se il Piemonte assentiva.