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libro secondo - capitolo primo 187


e quelle dei confinanti, e non si può allargare a quelle industrie nascenti che hanno d’uopo di patrocinio.

Si è disputato lungamente ai di nostri intorno ai diritti economici della plebe e si sono proposte diverse formole, che possono essere vere o false secondo il senso che si dá alle parole. Ma tutti si accordano a riconoscere che ogni uomo ha diritto di vivere; e siccome ogni diritto è il correlativo di un dovere, la societá è obbligata, secondo il suo potere, a somministrare il modo di vivere a ciascun di coloro che si trovano nel grembo suo. Poco rileva che quest’obbligo sia di caritá o di giustizia, le quali virtú in sostanza si riducono a una sola; poiché né la giustizia distributiva è capace di quella misura esatta a cui soggiace quella che versa nelle commutazioni, né la caritá manca di giure correlativo nell’universale dei bisognosi, pogniamo che non l’abbia in questo o quell’uomo particolare. Ora il diritto di vivere importa nei benestanti il diritto di mantenere e usufruttare la proprietá, nei nullatenenti quello di potere acquistarla secondo le leggi. I due diritti sono diversi nella forma ma identici nella radice. Ora proprietá è capitale; e capitale è lavoro antico e accumulato, il quale si procaccia mediante il lavoro nuovo. Diritto di vivere mediante il lavoro è dunque in sostanza il diritto economico universale e comune cosi ai proprietari come ai proletari, con questo solo divario: che nei secondi il lavoro è novello e spicciolo, nei primi vecchio e ammassato. Dal che si vede che il lavoro è il principio fattivo e nobilitativo della proprietá e non viceversa, perché l’uomo non nasce proprietario se non in quanto riceve la proprietá dal lavoro precedente di altri uomini. Ogni proprietá in origine è frutto del lavoro, cioè dell’industria e del sudore1; anche la semplice occupazione importa qualche abilitá e qualche travaglio. E il lavoro la giustifica e nobilita pei due rispetti: come merito, essendo acquisto di fatica; come trovato, essendo effetto d’ingegno e di creazione.

L’uomo universalmente ha il diritto di vivere mediante il lavoro, atteso che, fuori dell’infanzia, dell’infermitá mentale o



  1. Gen., ii, i5; iii, i7, i8, i9.