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capitolo duodecimo 15


che io non soglio riporre se non in coloro con cui sono legato per intima dimestichezza. Io era nuovo dopo un lungo esilio al Piemonte, e fra i personaggi politici che erano in grido non ci aveva altro amico che il Pinelli. Cosicché ero costretto a eleggere i miei colleghi fra uomini che non aveva sperimentati; e altrettanto mi sarebbe accaduto se mi fossi rivolto ai conservatori, che non mi erano piú familiari dei democratici. Né perciò il mio procedere era incauto e imprudente, avendo la parola e piú ancora affidandomi all’interesse manifesto del principe, mediante il quale io potea rifare il Consiglio se gli eletti mal rispondevano alla prova. Non mi tratterrei su ragioni cosi trite e palpabili se avessi da far con censori forniti del senso comune. Quanto alla denominazione presa, era naturale che i municipali se ne adombrassero, giacché questa generazione non ha la vista cerviera, non conosce gli uomini né i tempi e non vede la tempesta anco quando è vicina. Ma fin dai tempi di Aristotile si usò distinguere i democratici dai demagoghi; e chi non vede che la democrazia oggi prevale e che nulla è durabile se non le si appoggia, ignora l’indole del secolo in cui vive. Perciò mi fu di non poca meraviglia l’udir Massimo di Azeglio far tenore ai municipali, scrivendo che «l’appellativo di ’democratico’ o significa una cosa ingiusta, dannosa, che può esser germe di discordie, disordini, e cagione perciò di debolezza nel governo; ovvero è una parola vana e senza senso e che non dice nulla»1. Anzi essa, chi ben l’intende, mi pare che dica tutto, poiché non ve ne ha alcuna piú atta a specificare il genio proprio dell’etá



    azioni successive e le mie relazioni personali meno sicure» (Gli ultimi rivolgimenti italiani, parte ii, p. 68, nota). Ma dai fatti esposti nella presente opera egli può ritrarre che io non ebbi mai alcuna «dubbiezza», che le mie «azioni successive» furono affatto conformi alle prime, che le mie «relazioni personali» vennero tutte necessitate dalle circostanze, che esse noti avrebbero nociuto né a me né alla patria se Carlo Alberto mi avesse attenuta la sua parola, e che in fine non ebbi altro torto che di credere a questa e di veder piú lontano che i politici della mia provincia. Se non che il signor Gualterio era allora lontano dal Piemonte, ed è da scusare se professa a mio riguardo le opinioni che ancora regnano tra alcuni prodi municipali di Torino.

  1. Ai suoi elettori Massimo d’ Azeglio, Torino, 8 gennaio i849, p. 25.