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capitolo decimoquarto 141


municipali e ai democratici, allorché dopo i disastri della prima campagna si dovea eleggere tra il ripigliare la guerra coll’aiuto di Francia e la mediazione, tra il componimento e l’abbandono dell’interna penisola. Forse parve al principe indegno della sua corona che un esule ripatriato girasse le sorti del regno, o gli erano spiaciute le eccessive dimostrazioni di amore che io aveva ricevute nei vari paesi. Forse anche, non essendo avvezzo agli ordini costituzionali, non amava di avere un ministro libero e indipendente che non pensasse col senno d’altri e volesse governare a suo modo1. Come ciò sia, egli rigettò due volte la mia politica benché fosse la sola onorata e sicura, due volte rese vane le pratiche da me incominciate per salvare l’Italia, due volte mi abbandonò alle fazioni cospiranti alla patria rovina, due volte mi pospose ad uomini certo stimabili ma che, in fatto disufficienza e di meriti civili, io potea senza orgoglio rifiutare per uguali non che accogliere per superiori. Contribuí anche a divolgerlo dall’intervento una certa antipatia verso il granduca (della quale potei accorgermi in piú occasioni) e un’altra ragione che mi resta a raccontare. Discorrendo meco un giorno del partito giá preso, egli entrò a dire essere il taglio opportuno per unire al Piemonte la Lunigiana e la Garfagnana. Risposi con rispettosa franchezza che né la giustizia né la politica consentivano che si togliesse ai toscani pure un palmo di territorio, atteso che se la nostra spedizione veniva a dar vista di cupiditá ambiziosa, ci avrebbe alienati gli animi in vece di conciliarli, scemato il credito in cambio di accrescerlo, avvalorate le gelosie dentro e fuori e tolto il modo di rappaciare le scredenti provincie. Il re non replicò nulla e gli apparecchi continuarono come dianzi, ma dal volto mutato e dagli ulteriori ragionamenti mi avvidi



  1. Io lascerei indietro tale presupposto, atteso che nel corso della mia amministrazione Carlo Alberto non fece mai il menomo segno di riprovare i partiti che gii proponevo (salvo quelli di occupare a tempo Ancona e un altro forte ecclesiastico) e di disapprovare la mia politica; onde non surse mai alcun urto tra lui e il Consiglio. Lo lascerei, dico, indietro, senza una parola profferita da lui (come seppi di buon luogo) dopo la mia caduta. — Finalmente — diss’egli — sono libero da un uomo che voleva farla da Richelieu e governare in mia vece.