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CAPITOLO DECIMOQUARTO


L’adulazione verso i morti è piú ancora colpevole, vergognosa e pregiudiziale che verso i vivi, conciossiaché col falsare i fatti ne togli l’utile e col guastare i precetti li rende dannosi, levando ai potenti il maggior freno che abbiano, cioè la temuta censura de’ posteri. Vile poi e perniciosa sopra ogni altra è la piacenteria verso i principi estinti, sia perché l’altezza del grado fa si che i mali esempi riescano piú contagiosi, e perché ivi il dissimulare non può essere scusato da ragioni di civil prudenza, come quando si tacciono i falli commessi e non rimediabili di chi regna, per non tórgli il credito necessario a governare né avvilirne la maestá. Gli egizi, i quali non aveano altro che lodi pel re vivente e accumulavano i biasimi da lui meritati sul capo dei ministri1 (accennando in tal forma all’inviolabilitá dell’uno e alla sindacabilitá civile degli altri, secondo l’uso delle monarchie civili e moderne), convenivano in giudizio, processavano e sentenziavano severamente i principi defunti non meno che i sudditi, condannando i piú tristi a esser privi di sepoltura2. Dei morti illustri si dee dir tutto; imperocché se lodi i meriti e taci i

  1. A proposito di questa usanza il Bartoli fa l’avvertenza che segue. «Era il re si mentecatto che non s’avvedesse, altrettanto che le sue lodi, esser suoi i vitupèri che si scaricavano sopra i suoi ministri? cosi tristi gli ha eletti? cosi malvagi li tollera? A cui conto vanno in prima i lor falli se non di chi e non gli ha eletti buoni dovendolo, e malvagi, non dovendolo, li sostiene? (Simboli, iii, i5).
  2. Diod., i, 6. Vedi intorno alla severitá che si dee usare verso i principi estinti, Michele di Montaigne, Essais, i, 3.