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disperdere e consumare il doppio tesoro di quella che i padri e gli avi ci tramandarono. E in vero Ermanno di Richelieu procreò ad un parto le lettere e la potenza della sua patria, e fondò, per cosí dire, colla stessa mano l’unitá nazionale e quel consesso che allevò e abilitò a salire in questo colmo l’eloquio volgare della Francia. Se i tedeschi scrivessero ancora in lingua morta come ai tempi del Leibniz, o in lingua forestiera come a quelli di Federigo, vogliam credere che avrebbero acquistato il senso civile di se medesimi? Ma come tosto ebbero una letteratura e una filosofia germanica, si risvegliò in essi l’istinto nazionale e si accesero quei desidèri che proruppero al cedere dell’imperio francese e traboccarono cogli ultimi eventi. Ed è da notare che Federigo, il quale, alzando la Prussia a stato e nome di potenza e sostituendo la filosofia alla mistica incivile, apparecchiò la futura unitá germanica, le nocque dal canto della favella; laddove Lutero, che alterò colla sua dogmatica il senso genuino del cristianesimo, giovò al progresso nazionale nobilitando il vernacolo patrio colla religione, come l’Opitz in appresso si studiò di fare colla poesia. Ma i conati viziosi del prussiano e del sassone perirono seco: il bene durò, e l’impresa letteraria dei due Martini fu riassunta e condotta a perfezione da quella insigne repubblica di dotti e di scrittori, che rifulse di tanta luce al principio di questo e in sul finire del passato secolo. Di costa alle lettere amene e alla varia erudizione sorse la filosofia critica, che per via dell’Hume risale in modo negativo al Descartes e si attiene assai piú intimamente al Leibniz; la quale, accoppiandosi alle speculazioni dello Spinoza, procreò la nuova scuola, pellegrina, ricca, profonda e serbante, cosí nei pregi e nei progressi come nei difetti e nei traviamenti, il vestigio delle sue origini.

Nell’etá scorsa gl’italiani seguirono il cattivo esempio di Federigo, non il buono di lui e de’ suoi successori. Si abbeverarono, pensando e scrivendo, alle correnti e spesso ai rivoli esterni; e a poco a poco il fatto diventò consuetudine, che, dal giro degli studi trapassando in quello dei fatti, ebbe gran parte nei nostri mali. Conciossiaché il vezzo servile del pensiero e del sermone, aggiunto alla divisione e debolezza politica, ci rese cosí ligi