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56 del rinnovamento civile d'italia


levate a cielo. Ché se l’etica dei gesuiti politici si rassomiglia a quella de’ farisei di ogni tempo1, la morale dei gesuiti santi tronca i nervi dell’uomo, imprimendo in esso una bambineria serotina e una decrepitá precoce. La religione degli uni e degli altri è molle, superstiziosa, inerte: altera l’essenza del cristianesimo che consiste in veritá e spirito2, lo spoglia del semplice e del maestoso, lo impregna d’idolatria, lo carica di nuovi riti, lo scredita con falsi miracoli, e lo fa persino parere inferiore di bontá, di bellezza, di efficacia alla filosofia di Socrate e di Marco Aurelio. Tirando l’idea al senso, l’evangelio al mondo, e convertendo la fede in un mezzo di dominazione e di corruttela, è essenzialmente simoniaco3, e quasi un regresso della sapienza cristiana alla gnosi acattolica e al gentilesimo. I gesuiti sono insieme i demagoghi e gli oligarchi della Chiesa, turbandola coi raggiri, coi soprusi, colle liti teologiche e sotto specie di ubbidienza mirando a metterla in servitú. Zelantissimi nel propagare le credenze ortodosse, purché ne sieno maestri ed arbitratori e si dia loro agio di «usurpare la chiave della scienza»4, cercano in vece di attraversarle dove si rifiuta l’opera loro. Insomma, ragguagliata ogni cosa e messo in bilancia il bene e il male, non solo questo sovrastá di gran lunga, ma si può dire con veritá che il gesuitismo accampato nel seno della religione le fu piú nocivo dei nemici esterni, e che da esso non è rimaso che il cattolicismo e il papato non sieno spenti da lungo tempo.5

  1. «Totius iniustitiae nulla capitalior est quam eorum qui quum maxime fallunt, id agunt ut viri boni esse videantur» (Cic., De off., iii). «Alii, quorum obstinata cupiditas lumen rationis exstinxit, et dum ex patre diabolo sunt, Ecclesiae se filios esse dicunt» (Dante, De mon., iii). «Qui corvorum plumis operti, oves albas in grege Domini se iactant. Hi sunt impietatis filii, qui ut flagitia sua exsequi possint, matrem prostituunt, fratres expellunt et denique iudicem habere nolunt. Nam cur ad eos ratio quaereretur, cum sua cupiditate detenti, principia non viderent?» (ibid).
  2. Ioh., iv, 23, 24.
  3. L’essenza della simonia consiste nella subordinazione dello spirituale al temporale e del sacro al profano.
  4. Luc., xi, 52.
  5. Vedi i Documenti e schiarimenti, ii.