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42 del rinnovamento civile d’italia

fu la rovina di entrambe, rimovendo Napoli, raffreddando gli altri principi e lasciando senza guardia le franchigie ottenute, onde chi le avea date ebbe modo e agio di ripigliarsele.

Il Balbo aggravò ancora il detto sbaglio con un altro, cioè col frantendere l’ufficio egemonico. Io aveva assegnata la parte ideale di questo a Roma, la militare e politica al Piemonte; che è quanto dire il primo grado di onore al papa e il primo grado di potenza al re subalpino. Non piacque il mio divisamento, benché si trattasse di un semplice titolo privo di giurisdizione effettiva1. Era d’uopo senza dubbio allettare il re sardo, ma non in modo da ingelosire il pontefice; cosicché, udita l’imprudente parola, io cercai di ripararvi dicendo che «duce e moderatore della lega italiana saria stato quel principe che primo avrebbe rivolto il senno e le cure a metterla in atto»2. Ma quando il Balbo aggiunse i fatti ai discorsi e disdisse la lega sollecitata da Pio e dagli altri principi, il male non ebbe piú rimedio, e prese corpo quella chimera dell’albertismo che tanto nocque alle cose nostre. Cosí per acquistar Carlo Alberto si perdette Pio nono; dove che si sarebbe conservato l’uno e avuto l’altro, se il mio concetto non si mutava. Considerando che il maggiore ostacolo era Roma, io ne aveva conchiuso che maggiore doveva essere a suo riguardo l’esca del premio e il pegno della sicurezza. A tal fine avevo ideata la lega e la presidenza papale, perché l’una assicurava il pontefice e l’altra lo lusingava. E Roma in ogni caso si sarebbe tirato dietro il Piemonte, dove che questo né avrebbe incominciato senza Roma, né vinte le sue ripugnanze. I fatti risposero alle mie previsioni. Pio fu primo a inalberare la patria bandiera e Carlo Alberto il seguí. Ma gl’indugi che questi recò nell’imitarlo chiarirono ch’egli non avrebbe mai messo il piede nella via gloriosa, se il pontefice nol precedeva e non l’eccitava coll’autoritá della religione; e il recesso di questo mostrò che l’esempio piemontese non bastava a vincere gli scrupoli entrati nella sua coscienza, e malcondotto poteva renderli piú efficaci e piú vivi.

  1. Speranze, pp. 43, 44, 45.
  2. Prolegomeni del Primato, Brusselle, 1846, p. 70.