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libro primo - capitolo primo 35

ragionevolmente, come primogeniti del sangue pelasgico. Ma per compenso la nostra rivoluzione sará piú savia, potrá edificare senza demolire; giacché posto che debba eccettuare dall’indulto i gesuiti come restii e avversi alla concordia universale, egli è da notare che il gesuitismo un impuro avanzo dell’etá barbara. Imperocché nato allo spirare di questa, fu instituito per farla rivivere e contrastare alla modernitá prevalente; onde conviene trasformarlo (se pure è possibile) ovvero distruggerlo. I mezzi che si porranno in opera saranno degni del fine. Le altre rivoluzioni ebbero per istrumenti la frode e la forza, le congiure e le rivolte, i conventicoli e le aggressioni civili. Unica molla della nostra saranno le idee incarnate nella nazione per mezzo dell’opinione pubblica; e finché gl’italiani conformerannosi all’indirizzo del moto patrio, le armi saranno adoperate a cacciare i barbari, non a offendere i fratelli. Ella sará dunque una rivoluzione ideale, e però pellegrina, tutta propria nostra, degna dei promotori, della nazione, del secolo; non modellata agli esempi anteriori o forestieri. Gli sforzi preteriti non riuscirono perché governati da altre massime; laddove il prossimo assunto avrá esito felice, sí veramente che s’incominci con ardore e si prosegua con senno, mantenendolo sulla via diritta e conforme alle sue origini1.

Io meditai lungamente queste idee e le maturai in silenzio: mi parvero fondate, opportune, e mi risolsi a pubblicarle. Esse giunsero in Italia dal mio lontano esilio, e benché inaspettate, non dispiacquero agli spiriti discreti: fruttarono. Se non che, prendendo a esporre una dottrina nuova nel suo complesso2,

  1. Altrove ho riassunti piú minutamente questi caratteri del moto italiano e le sue differenze dalle rivoluzioni forestiere (Apologia del libro intitolato «Il gesuita moderno», Parigi, 1848, p. 300 seg.).
  2. Un diario che non mi era amico avvertiva, in proposito del mio opuscolo sui Due programmi, che il Foscolo, il Manzoni, il Pellico aveano perorata la causa italiana prima di me. Sapevamcelo; e solo dá meraviglia che il giornalista non sia risalito sino a Dante o almeno a Vittorio Alfieri. Niuno certo è sí stolido che mi attribuisca l’invenzione di un concetto e di un voto antico quanto le nostre sciagure. E niuno è si ingrato che disdica ammirazione e gratitudine a quegli illustri che alla nostra memoria scrissero e travagliarono in pro della patria loro. Ma bisogna