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libro primo - capitolo primo 33


e destò in essi la coscienza degli uffici che loro corrono nel ricomponimento dell’antica patria. Roma insomma e il Piemonte, il papato e la stirpe di Savoia, debbono essere i due perni del nostro Risorgimento, l’una colle idee e l’altro colle armi: quella, posta nel mezzo, come capo morale; questo, situato ai confini, come braccio e come baluardo1. Ma affinché possano adempiere l’ufficio loro, uopo è che vi si abilitino, e deposto il loro

  1. «Il Piemonte è ai giorni nostri la stanza principale della milizia italiana. Posto alle falde delle Alpi e bilicato fra l’Austria e la Francia, quasi a guardia della penisola di cui è il vestibolo e il peristilio, egli par destinato a velettar da’ suoi monti e a schiacciare tra le sue forre ogni estranio aggressore, facendo riverire da’ suoi potenti vicini l’indipendenza d’Italia. Ma oltre all’essere il campo e il presidio comune, le idee rigeneratrici debbono germinare principalmente nel suo terreno per due ragioni particolari, l’una delle quali concerne la stirpe che l’abita, e l’altra s’attiene alla famiglia che lo governa. Per amendue questi capi si può credere che quella redenzione italiana, a cui tre secoli sono Niccolò Machiavelli invitava e confortava indarno i principi signoreggianti alle radici dell’Appennino, debba quando che sia uscir dal Piemonte» (Primato, Brusselle, 1845, p. 78). «Tutto cospira a far credere che la casa di Carignano sia destinata a compier l’opera di quella da cui discende, rannodando i popoli alpini cogli appennini e componendo di tutti una sola famiglia. La natura dei tempi, i desidèri degli uomini, i bisogni d’Italia in generale e del Piemonte in particolare, le condizioni universali di Europa, l’indole stessa dell’augusta casa ve la invitano» (ibid., p. 86). Rivolgendo la parola a Carlo Alberto, conchiusi il discorso in questa sentenza: «Se il Piemonte è il braccio e il propugnacolo d’Italia, l’Italia è il cuore e il capo del Piemonte: da lui esce la viva luce che c’illumina e scalda, e a lei si volgono i nostri sguardi come al divino e legittimo oriente del paese che signoreggiate... Voi avete giá provveduto alla sicurezza dei popoli vostri, creando un fiorito e copioso esercito e spianando colle armi la via all’unione desiderata d’Italia. Resta solo che proseguiate l’opera illustre, senza dar retta a coloro che paventano la vostra grandezza o invidiano alla vostra gloria. Al quale effetto non occorre innovare, ma solo rinnovare un’idea italiana, cattolica, antichissima, ed effettuarla con modi pacifici, a pro di tutti, senza offendere, anzi avvalorando i diritti di ciascuno. E chi vorrá credere che non abbiate il concorso di coloro a cui sono commesse le altre provincie? e specialmente del primo di essi, che a tutti sovrasta per l’eminenza dell’ecclesiastico principato e ha d’uopo sovrattutto di voi per colorire il disegno e adempiere il voto de’ suoi antecessori? Perché, s’egli è vero che le idee e le armi girano il mondo, da Roma e da Torino unanimi pendono i fati d’Italia. Ma quando qualche cupa o sconsigliata politica vi ripugnasse, ciò non ci sgomenta, perché sappiamo che voi siete armato e posto sul limitare della penisola per respingere con una mano gli strani, e per invitare coll’altra e tirare a voi i principi ed i popoli italici... Perciò, valoroso principe, l’Italia si confida che dalla vostra stirpe sia per uscire il suo redentore. E non teme di rivolgere a voi le seguenti parole, che un libero italiano indirizzava tre secoli sono a un suo potente cittadino e coetaneo: «Pigli adunque l’illustre casa vostra questo assunto con quell’animo e con quella speranza che si pigliano le imprese giuste, acciocché sotto la sua insegna
V. Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia - I. 3