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CAPITOLO PRIMO

del risorgimento italiano

Quel moto recente e nostrale, che incominciò colle riforme e cogli ordini liberi, proseguí colla guerra patria e terminò infelicemente colla pace di Milano, procedette a principio secondo le regole prefisse da alcuni scrittori e approvate dal senno unanime della nazione. Finché si tenne su questo sentiero, i suoi successi furono lieti e favorevoli; ma essendosene a poco a poco sviato, prese ad allentare, fermarsi, tornare indietro, e moltiplicarono cogli errori i disastri, finché il traviamento salito al colmo, fu intera e spaventevole la ruina. Giova l’avvertire il riscontro dei falli cogl’infortuni e la proporzione esatta che corse tra questi e quelli, perché ricca d’insegnamenti. Ma siccome l’errore mal si può conoscere e schivare, chi non abbia notizia del suo contrario, rianderò brevemente le condizioni proprie del Risorgimento italiano e le leggi che lo governarono nei prosperevoli successi delle sue origini.

Le sue prime mosse furono patrie: non vennero da insegnamento né da impulso straniero. L’Europa quietava: niuno badava a noi, salvo il barbaro che ci opprime; a nessuno caleva delle nostre miserie e dei nostri dolori. L’Austria avea in pugno tutta la penisola, parte col dominio diretto, parte col braccio dei nostri principi, tornati all’antico grado di vassalli e vicari imperiali; la nazione dormiva; le spie, gli sgherri, i soldati, il carnefice tenevano in freno o sperperavano i pochi indocili, mentre i gesuiti corrompevano gl’intelletti. I tentativi fatti da un mezzo secolo