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libro primo - capitolo nono 283


il timone al piloto inesperto per cansar l’imminente e comune naufragio. Se i ministri della mediazione mi avessero ceduto il luogo mentre Gino Capponi reggeva la Toscana e Pellegrino Rossi era ancor vivo, si sarebbe immantinente conchiusa la lega, e la monarchia civile era posta in sicuro sull’Arno e sul Tevere. Laonde il Cavour, puntellando i rovinatori d’Italia, si rendette partecipe egli stesso di tal rovina. Anche dopo l’orribil caso dei 15 di novembre non era perduta ogni speranza: perché in quei princípi Giuseppe Montanelli non avea ancora contratto impegni col nuovo governo di Roma e si poteva stringere una lega toscana; e sí in Roma che in Gaeta sarieno probabilmente riuscite le vie conciliative, che un mese dopo, cresciuti i rancori e vincolato il pontefice da indegne trame, tornarono inutili; né sarebbe stato mestieri ricorrere a quegli estremi spedienti che io volli adoperare piú tardi ma invano, non per mia colpa ma per essermi venuta meno la parola del principe.

A mano a mano però che si andava scoprendo la dappocaggine del governo e che i mali peggioravano, diminuiva il favore o almeno s’intiepidiva. Le speranze della mediazione si eran dileguate eziandio nei piú creduli: i tumulti di Genova trascorrevano a manifesta rivolta; gli opponenti crescevano nella Camera e la parte contraria scemava, ridotta oramai a prevalere di nove o dieci voti, il che in tutti i parlamenti del mondo si reputa a disfavore. I piú dei ministri volevano ritrarsi; ma il Pinelli resisteva, mostrandosi cosí ripugnante a deporre la carica com’era stato sollecito a procacciarsela con quei mezzi che abbiamo veduti. Per fare un ultimo tentativo e affidandosi nella mia eccessiva condiscendenza a suo riguardo, venne a chiedermi se il ministero dovea restare o congedarsi. Risposi che non avea consigli da dargli. Partí indispettito, e poco stante il re mi commise di eleggere i successori.