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libro primo - capitolo nono 249


occulto, fazioso, efficace contrastava di continuo al governo pubblico e ne impediva o ne annullava le operazioni1.

Mossi da queste considerazioni, io ed alcuni de’ miei colleghi proponemmo e vincemmo che il ministero si rifacesse. I pochi che dissentirono mi diedero poscia querela che io causassi con tal partito il trionfo della setta municipale. Ma in prima io non fui solo a consigliare cotal partito, tanta essendo e cosí evidente la necessitá sua che i piú concorsero ad abbracciarlo. Secondariamente coloro che muovono questo richiamo non si avveggono che dánno la colpa principale a se stessi, poiché se si fossero mostrati piú abili a governare, niuno avrebbe pensato a mutare il governo. In terzo luogo l’amministrazione di allora era cosí impotente, per le ragioni allegate, a fare l’ufficio suo che, durando, le cose sarebbero ite di male in peggio; dove che, ritirandosi, il male era solo probabile anzi inverosimile, perché niuno potea immaginare nel principe tanta debolezza e imprevidenza quanta ebbe luogo in effetto. Ora la prudenza piú volgare prescrive di posporre il danno certo al pericolo. Per ultimo (e questa ragione toglie ogni replica) dalle cose infrascritte il lettore potrá raccogliere che se noi non chiedevamo commiato, senza fallo l’avremmo avuto, perché la politica contraria giá prevaleva in corte e la nostra perseveranza non avrebbe avuto altro effetto che di rendere piú manifesto il torto di chi regnava. Il che tanto è vero che giá pochi giorni prima il re ci avea fatto intendere essere opportuno il modificare l’amministrazione, onde Urbano Rattazzi era fermo di congedarsi. E siccome la mossa nascea da intenzione di mutar politica, essa conteneva un tacito invito a chieder licenza se non volevamo che ci fosse data. Il solo partito ragionevole era però quello di scioglierci, fare ogni opera per mantenere il principe nella buona via e indurlo a commettere in uno di noi il carico di comporre un ministero piú omogeneo e proporzionato alle condizioni straordinarie dei tempi. I miei colleghi desideravano ch’io fossi l’eletto, onorandomi con questo segno di spontanea

  1. Operette politiche, t. ii, pp. 165-168, 241, 242.