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lasciate in ozio durante la prima campagna, ma accrescerle e fornirle con leve ed imposte straordinarie, facendo quegli sforzi e tentando quei prodigi che negli estremi frangenti salvano i popoli. Imperocché se era savio e onorevole l’avere un compagno, sarebbe stato viltá e follia il voler vincere col solo suo braccio e stare a sua discrezione. Era dunque necessario un governo omogeneo, forte, operoso, che fosse ubbidito puntualmente e avesse il credito e la fiducia dell’universale. Gravi, molti, straordinari, difficilissimi erano gli obblighi e i carichi che ci correvano; e se mai debbono i rettori vincere se stessi d’industria, di vigore, di prontezza, di vigilanza, questo era il caso di allora. Ma la nostra amministrazione non avea alcuna di queste parti. Era odiata nella capitale, mal veduta dall’esercito; e se l’essere composta di tali uomini, che rappresentavano, oltre gli Stati sardi, la Lombardia, Venezia, i ducati, la rendeva cara agli amatori dell’unione italica, questo medesimo le pregiudicava in Piemonte, dove i municipali prevalendosi dei freschi infortuni concitavano la moltitudine. Gli animi erano irritati dalle tristi novelle ogni dí aggravanti, il disfavore cresceva, le nostre deliberazioni erano spesso turbate e interrotte da grida sinistre e da fremiti cittadini. A ciò si aggiugnevano le divisioni del Consiglio, unanime nel fine, spesso discorde nei mezzi; in cui prevalevano gl’irresoluti, buoni in pace ma non in tali cimenti e piú atti ad impedire che ad operare; onde i giorni scorrevano e nulla si conchiudeva. Delle dieci proposte che si facevano era miracolo se una poteva vincersi, e poco prima dei casi acerbi di Milano io mossi invano istanza affinché si rimovesse quell’uomo ch’era venuto a recarci la licenza e la discordia. L’amore a sproposito della legalitá fece rigettare un partito che avrebbe risparmiati infiniti mali all’Italia. I ministri, lo ripeto, erano ottimi di mente e di cuore; e sarebbe bastato a onorare il Consiglio Giuseppe Durini, che per le rare qualitá dell’ingegno e dell’animo lasciò testé morendo un vivissimo desiderio. Ma i piú di essi mancavano di genio pratico e di risoluzione, e ancorché ne fossero stati forniti a dovizia, poco avrebbe giovato, non essendo ubbiditi; giacché un governo