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18 del rinnovamento civile d’italia

Ma se io sono indifferente ai biasimi e alle ingiurie di costoro, ben mi è dolce la stima e caro il patrocinio dei valentuomini; e però colgo questa occasione per render pubbliche grazie a Giuseppe Massari e a Carlo Farmi, il primo dei quali assunse con generosa franchezza la difesa della mia politica in universale, e il secondo diede nella sua Storia un sincero e giustificato riconto della mia breve amministrazione.

Havvi però una riprensione che mi fu fatta da molti amorevoli e non può essere passata in silenzio. La quale si è: che io abbia rifiutato l’onore parlamentare conferitomi da Torino e rinunziato per sempre alla patria cittadinanza. Oltre le ragioni personali che dai fatti risulteranno, io fui indotto a pigliare questo partito dalla politica che prevalse nel mio paese nativo, essendo essa il contrappelo di quella che governò e promosse il Risorgimento. Imperocché laddove questo consisteva nel rendere italico il Piemonte, l’indirizzo che succedette ha per iscopo di ritirarlo dall’italianitá e ridurlo a essere null’altro che subalpino. La qual opera, incominciata da una setta nel quarantotto e compiuta nell’anno seguente, fu allora volontaria e libera, ma dopo la pace di Milano è divenuta in gran parte necessitá. Però se gli autori meritarono grave biasimo, coloro che, divenuto il male incurabile, s’ingegnano almeno di mantenere al Piemonte le sue instituzioni sono degni di molta lode; e io desidero loro sinceramente e ardentissimamente ogni buon successo, benché ne abbia poca fiducia. Ma ciascuno ha i suoi

    sue celebri omonime di Venezia e di Svezia, senza aver seco a comune la scusa dell’ingegno straordinario e del secolo. Se a queste ragioni si aggiunge che il censurato è nativo del Regno e mio intrinseco, chiunque può capire onde sieno nate le furie della principessa.
    Mi spiace di essere obbligato a scrivere queste poche parole; ma non potrei piú tacer con onore, da che Tessermi amico diventa un delitto e basta a far che altri sia vituperato da chi non dovrebbe né anco riprendere. Le donne non sono inviolabili piú dei principi costituzionali; e come questi perdono il loro privilegio quando rompono lo statuto, cosí quelle allorché dimenticano la riserva e la verecondia. Se la principessa mi permette di darle un consiglio, io la conforterei a esser meno curiosa dei fatti altrui e a guardarsi dal vezzo di travisarli per renderli odiosi e ridicoli; giacché se alcuno entrasse ne’ suoi, potrebbe senza alterarli ed essere troppo indiscreto suscitare un riso maggiore di quello dell’Olimpo omerico.