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libro primo - capitolo nono 231


Posto il falso principio che la volontá del popolo sia l’unica e suprema fonte del giure, se ne conchiuse che i lombardi doveano deliberare intorno all’union subalpina e che essa saria stata nulla se non si metteva a partito come un’altra legge. Quasi che i diritti primitivi, che hanno il fondamento loro negli ordini naturali e immutabili e sono la base di ogni statuto ulteriore, possano soggiacere ad arbitrio di elezione e debbano esser discussi come problemi anzi che accettati come assiomi1.

  1. «Vi sono certi punti cardinali del Risorgimento italiano, intorno ai quali è non solo di rischio ma di vergogna il mettere in dubbio la futura elezione. Chi ha mai inteso dire che sia d’uopo di pratiche e di consulte, di assemblee e di deliberazioni per diffinire gli assiomi, cioè quelle tali veritá che sono ammesse dall’universale perché fornite di piena e immediata evidenza? Ora la politica ha i suoi pronunziati assiomatici, come la geometria, la fisica e la speculazione. Tali sono, verbigrazia, l’unitá, la libertá, l’indipendenza italiana, le quali non si potrebbero da noi discutere senza nota di crimenlese verso la patria. Conciossiaché ogni discussione arguisce di necessitá il dubbio, il difetto di evidenza e la possibilitá dei dispareri intorno alle cose di cui si disputa. Ora io non credo di essere temerario a dire che chiunque esitasse intorno a un solo dei prefati articoli eziandio per un solo istante, si chiarirebbe indegno di essere italiano e meriterebbe di venir cacciato fra i barbari e i traditori del paese natio. Oltre che, i pubblici dibattiti e i politici assembramenti non possono aver forza giuridica se non premessi i detti capi, i quali perciò non possono venir sottoposti a una discussione, di cui sono l’unica fonte e il legittimo fondamento. Qual è infatti la sorgente del giure nazionale di un popolo se non il suo essere come nazione? e come può darsi nazione se non è una, libera e autonoma, almeno virtualmente? Egli è dunque prepostero e contraddittorio il sottoporre a disamina e decision positiva i caratteri nazionali, poiché se questi non presussistono, nessun convegno ed arbitrio può crearli, vana essendo ogni arte che non abbia le sue radici nella natura. Ora se l’unitá italiana è un vero di questa fatta, si dee dire altrettanto dell’unione, come quella che è l’unitá iniziale, o vogliam dire l’apparecchio e il rudimento di essa. Imperò io confesso che quando i venetolombardi ebbero scosso gloriosamente il giogo tedesco, quando Parma e Modena si furono sottratte all’imperio servile de’ lor vicari imperiali, io avrei desiderato che per un moto subito, spontaneo, inspirato, senza la menoma esitazione e incertezza, si fosse levato un grido unanime per l’unione dell’Italia circompadana, salutato re Carlo Alberto e pronunziato il gran nome del regno italico, riservando ai prossimi comizi e ad una Dieta comune le condizioni speciali dell’aggregamento. Bello e sublime spettacolo saria stato, non pure all’Italia ma all’Europa ed al mondo, il vedere un tale accordo di voleri e di affetti sulla Parma e sul Panaro, sul Ticino e sull’Adriatico; e avrebbe dato un gran saggio della nostra maturitá civile, mostrando che le idee essenziali del vivere libero ci sono cosí connaturate che prorompono per via di afflato e d’istinto, senza aver d’uopo d’indugio e di deliberazione» (Apologia, pp. lvii, lviii, lix). Queste parole furono scritte in Parigi sul principio di