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il conto e l’uso che si fa del dialetto in una provincia porge una giusta misura del suo genio municipale. Gli uomini grandi e gl’ingegni segnalati della Venezia (che ne ebbe assai) furono piú veneti che italici, senza eccettuare l’ingegno smisurato del Sarpi. Vero è che negli ultimi tempi il municipalismo fu ivi men risentito che altrove, e si mostrò anzi cortese, conciliativo, benevolo ne’ suoi andamenti. La repubblica fu bandita a principio piú tosto come provvisionale che altro; se non che cotal denominazione, rappresentando uno stato fermo e non passeggero, dovea fare mal suono agli uomini gelosi dell’unione e del principato. E in effetto essa raffreddò Carlo Alberto e i suoi soldati nell’impresa; diede sospetto ai timidi, pretesto ai retrogradi, baldanza ai puritani; né quella prima impressione fu appieno cancellata dal patto seguente. E perché non rinnovar questo patto dopo l’infortunio, secondo la proposta fatta da alcuni membri del parlamento sardo? Certo il nostro governo e alcuni capi dell’esercito si erano portati assai male: l’armistizio e la mediazione furono falli enormi, impossibili a giustificare. Ma il popolo piemontese non ne fu complice: i torti di chi reggeva, per quanto fossero gravi, non poteano sciogliere la congiunzione, e i disastri doveano ristringerla per rinfrancare i buoni e tôrre ogni fiducia a coloro che l’avversavano. Né con questo io intendo di apporre il menomo biasimo agli uomini onorandi che colá governavano, perché il nome di Daniele Manin e de’ suoi degni colleghi è ormai indiviso da quello dell’eroica cittá, e io mi farei scrupolo di ricordarlo se non per rendergli un pubblico omaggio di stima e di riverenza. Ma tutti sanno che c’era in Venezia una parte repubblicana che parlava e scriveva contro il re, la monarchia, l’unione, e pigliava animo e spirito da chi faceva altrettanto in Milano; e l’idea di restaurare l’antica repubblica era cosí lusinghevole che dovea riuscir difficile ai capi di contrastarla1. Magnanimo errore di un popolo che accrebbe poco appresso la gloria del nome italiano e che in fine, costretto

  1. Mi pare che ciò si possa raccogliere dalla risposta di Daniele Manin all’invito piemontese. Vedi i Documenti e schiarimenti, iii.