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proemio 17

accuse, i fatti oggimai me ne dispensano; e posso dire con un antico: «Io non onoro la vita mia con le parole d’altri, ma con le opere mie»1. E però non farò menzione delle critiche e calunnie di alcuni libelli e giornali spigolistri, retrivi e gesuitici, che in Italia ed in Francia si affannano intorno alla mia persona, anzi, per quanto mi vien riferito di alcuno di loro, mi provocano anche a rispondere. Siccome mi spiacerebbe che il libro presente desse loro occasione di pigliar novamente una vana fatica, cosí mi credo in obbligo di avvertirli che io non entro in parole con ogni sorta di persone, né tengo tutte le disfide, né rispondo a tutte le interrogazioni e che soglio eleggere i miei avversari e non accettare ciascuno che si presenti2.

  1. Ap. Casa, Galateo, 77.
  2. Se farò qui una breve eccezione a questa regola, mi sará perdonato. E assai tempo che la principessa Cristina di Belgioioso s’intromette della mia persona con una perseveranza che, se non è gentile, è certamente esemplare in una gentildonna. Io diedi innocente cagione a’ suoi primi rancori, disdicendo di lodare un suo libro e d’intervenire alla sua conversazione, benché io mi studiassi di giustificare il doppio rifiuto con quelle forme di gentilezza che le circostanze mi prescrivevano. Venuto poi in Italia e onorato da’ miei compatrioti di quelle amorevoli accoglienze che tutti sanno, queste diedero tanto piú nel cuore alla principessa quanto che ella aveva espresso in Napoli il desiderio di un’ovazione senza però ottenerla. Hinc irae contro di me in particolare e contro i napoletani in universale, alle quali ella cercò sfogo recentemente in un foglio parigino.
    Io non risponderò alle favole, alle critiche e alle inezie di cui è gremito l’articolo, per ciò che mi riguarda. L’autoritá della principessa non è maggiore in politica che in filosofia o in religione. Né le lodi che ella porge sono invidiabili o i biasimi pericolosi, avendo celebrato successivamente l’imperatore, Pio nono, Carlo Alberto, Cesare Balbo e Giuseppe Mazzini; levato a cielo il dominio tedesco, la monarchia civile, la repubblica; e potendo contar gli anni dalle sue opinioni, come quella donna romana annoverava i mariti dai consolati. Io continuerei adunque volentieri il silenzio tenuto per lungo tempo, se la principessa non avesse questa volta accoppiato al mio nome quello di un uomo che per le rare parti dell’ingegno e dell’animo io amo e stimo altamente, parlandone in termini cosí vili ed ignobili che convien dire che la teologia e i viaggi le abbiano fatto dimenticare l’educazione propria del suo grado e il decoro del suo sesso.
    Il valentuomo non ebbe il torto di venir meco in Firenze dove non mise mai piede mentre io ci era, né di rispondere a una delegazione di frati che non ebbe mai luogo; ma bensí quello di non adulare la principessa, di non ammirare tutte le sue opere, di darle dei buoni consigli, tentando rispettosamente di correggere quella sua vanitá puerile e incessabile che l’induce a brighe ed a cure poco dicevoli a donna, a scriver di materie che non intende e a gareggiare di pedanteria scientifica colle
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