Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 1, 1911 - BEIC 1832099.djvu/225


libro primo - capitolo nono 219


quanto il cadere in servitú altrui. Mi stupisce che non si vegga da tutti una veritá tanto chiara e non si conosca che all’Inghilterra piacerebbe il dissidio dell’isola per signoreggiarla e farne, se non una Corsica inglese o una seconda Malta, almeno un nuovo arcipelago ionico o un Portogallo italiano; e che si stimi possibile a un piccolo Stato posto nel Mediterraneo l’avere di per sé quella balía e indipendenza che solo appartiene alle nazioni grandi per copia d’uomini e ampiezza di territorio. — Volete, o siculi, esser liberi e forti? Stringetevi all’Italia comune madre e preparatevi al consorzio materno colla fratellanza e unione napoletana. Fuori di essa non avreste che servitú. — Oh! l’abbiamo, e crudele, tremenda, intollerabile; e Napoli è appunto quella che ci opprime. — Il Borbone vi opprime e non il suo popolo, che divide le vostre e, come piú vicino, ha spesso la parte piú acerba delle sciagure1. Guardatevi di confondere i re coi popoli, e i compagni di martirio col carnefice comune. Né gl’italiani v’invitano a soggezione ma a compagnia: desiderano una Sicilia sorella a Napoli e, per cosí dire, una Scozia italiana, non un’Irlanda né una Polonia. — Io ripeto con fiducia cose giá accennate altre volte2, né temo dispiacere ai siciliani colla mia franchezza, la quale, movendo da desiderio del comun bene, non può offendere i generosi. Santo è l’affetto che essi portano alla nativa isola, e l’eccesso è tanto piú scusabile quanto piú degno è l’oggetto del loro amore. Ma per ciò appunto gli altri italiani non possono patire che sí cara parte si divelga da loro o sia congiunta con nodi meno intimi al grembo della famiglia. Né gli abitanti della penisola sono i soli che tengano questi pensieri, avendogli io intesi esporre e ripetere da alcuni illustri siciliani che nominerei con piacere a onore di queste carte. Se non che, soggiugnevano, esser malagevole il persuaderli ai piú e contrastare al torrente della moltitudine. In cui quanto abbonda il senso della

  1. «... laudatorum principimi usus ex aequo, quamvis procul agentibus; saevi proximis ingruunt» (Tac., Hist., iv, 74).
  2. Apologia, pp. xxii-xxxii.