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libro primo - capitolo nono 215


patria, cosí non si mostra a viso aperto se non quando sorge qualche occasione favorevole di procurare il bene comune. Riandando colla memoria i casi nostri degli ultimi anni, mi son ricordato piú volte dell’Attica primitiva, dove, secondo una vecchia tradizione, avendo Teseo raccolti in uno i dispersi abitatori e fondata Atene quasi «una certa universitá di tutte le genti», un tale Mnesteo (viva immagine del genio municipale) gli attizzava contro i potenti, che «giá da gran tempo mal comportavano esso Teseo e pensavano che tolto egli avesse di popolo in popolo il primato ed il regno ad ognun dei piú nobili e gli avesse tutti rinchiusi in una sola cittá per trattarli come sudditi e servi. Metteva poi in iscompiglio la moltitudine e la tacciava che, riguardando una larva di libertá e in effetto priva essendo delle sue patrie, in luogo di molti e buoni e legittimi re, tenesse volta la mira ad un signore avveniticcio e straniero»1, chiamando cosí il figliuolo di Egeo, benché greco e ateniese, perché nato fuori de’ borghi nei quali essi abitavano. Non sono questi sottosopra gli argomenti con cui nelle varie parti d’Italia fu contrastata l’unione del Piemonte coi lombardoveneti? Tanto il genio di municipio è sempre conforme a se stesso e non si muta per volgere di secoli e variar di paesi! Quindi è che l'avversione al regno dell’alta Italia, o almeno la freddezza e la noncuranza verso di esso, è una tessera sicura per distinguere i politici municipali dai nazionali; e invalse a tal segno anco fra gli uomini piú illustri del Risorgimento, che pochi seppero appieno guardarsene. Onde tanto è piú degno di ammirazione e di lode Guglielmo Pepe, glorioso per l’antico amore d’Italia, il valore nelle armi e la difesa Venezia; piú glorioso ancora, perché seppe vincere (ciò che spesso non sogliono i buoni ed i prodi) il fascino dei propri affetti e le volgari speranze; osò, napoletano di nascita e popolano di cuore, abbracciar l’insegna del re subalpino come il solo mezzo di salute patria che in quei frangenti ci porgesse la fortuna.

  1. Plut., Thes., 18 (traduzione del Pompei).