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si accordano nel disconoscere le tre realtá soprascritte. Illiberali, municipali, puritani portano lo stesso odio alla dottrina e all’ingegno e, non che assegnar loro la preminenza, gli scartano a lor potere dal governo delle faccende. La predilezione in cui hanno l’ignoranza e la mezzanitá, per non dire la nullezza politica, nasce non pur dall’amore che portano a se stessi, ricchissimi di tali parti, e dall’invidia di chi sovrasta per senno e per intelletto, ma eziandio dalla ripugnanza di questi pregi colle loro dottrine. Imperocché è proprio della scienza il cogliere la realtá e dell’ingegno il pigliarne diletto; e all’una mal soddisfanno le astrazioni vuote, all’altro le notizie empiriche disgiunte dalle ideali. Il nominalismo politico ha l’ombra del sapere piú tosto che la sostanza, né può gustare agli spiriti sodi e penetrativi, che non si appagano di scortecciare gli oggetti ma cercano di smidollarli. Qual ingegno di polso, verbigrazia, presumerá di fermare il corso delle idee civili o vorrá imprigionarsi tra le angustie municipali? Assunti che possono parer plausibili a chi non ha fiato di filosofia e di storia. Il puritanismo politico è meno avverso alle idee e pare che per tal rispetto debba gradire agli uomini di valore. Ma a questi non vanno a sangue le idee vuote, cioè divise dai fatti, né i fatti sterili, cioè disgiunti dalle loro attinenze e dalle idee che li fecondano; e conseguentemente non possono esser meglio puritani che municipali. Vero è che le astrazioni e le fantasie piacciono all’etá verde, usa di scambiare il fervore dello spirito e le larve dell’immaginazione coll’esperienza. Per la qual cosa, laddove il municipalismo si confá in modo speciale agli uomini attempati e d’indole gretta o mogia, l’altro sistema può garbare all’etá fervida ma non all’adulta dell’ingegno e del sapere.

L’ignoranza e il disprezzo della nazionalitá in universale e dell’italiana in particolare è un’altra dote comune alle sètte eteroclite. Non occorre che io mi arresti a provarlo dei politici pausanti o a ritroso, i primi dei quali pongono la nazione nella reggia e gli altri nella Compagnia1. Se non che dopo la taglia

  1. Giuseppe di Maistre, che è senza dubbio il principe dei retrogradi dottrinali,